Antologia

L’assedio di Belgrado: 1456

di Ornella Mariani
L’assedio di Belgrado: 1456.
L’assedio di Belgrado: 1456.

L’assedio di Belgrado: 1456

Con l’affermarsi dell’Islam; con la caduta di Costantinopoli del 1453 e con la sostanziale fine dell’Impero Romano d’Oriente, la Chiesa e gli Stati europei vacillarono: Mehmed II, che già controllava i principali traffici marittimi sulla Grecia, Serbia e Rodi, si accingeva a occupare l’Ungheria avendo come primo obiettivo lo sfondamento di Belgrado, città di confine.

Sotto la guida del Gran Visir Calhil, egli aveva assimilato l’arte della guerra seguendo in campo il padre, fin dall’età di dodici anni: era arrogante, deciso e coltissimo; tuttavia aveva fallito nella sua prima campagna orientale e l’accanito obiettivo egèmone si era risolto in una seconda sconfitta che l’aveva distratto dal controllo dei territori di frontiera.

Murad II lo aveva esiliato e aveva riassunto la guida del Regno ma, alla sua morte, il figlio gli successe vagheggiando ancora di prendere Costantinopoli: il 5 aprile del 1453 si era portato sotto le mura della cruciale città, alla testa di centocinquantamila uomini supportati da una Flotta di trecentocinquanta navi armate da sessantanove cannoni.

Il successivo 29, concentrate forze di terra e di mare, aveva preso la roccaforte occupata da Costantino XI e instaurato il proprio dominio: dalla prestigiosa capitale era partito per conquistare il Mediterraneo, lo Ionio e l’Adriatico e aprirsi un varco in Occidente.

I suoi più agguerriti nemici erano il Papa Callisto III, che promuovendo una Crociata, si era impegnato a disfarsi di ogni tesoro e privilegio pur di contenere l’avanzata della Mezzaluna, e il coraggioso Janòs Hunyadi, di discendenza székely; ma, nel contesto degli eventi sarebbero spiccati anche Giovanni da Capestrano, il Cardinale Juan Carvajal e i Missionari Giovanni da Tagliacozzo e Niccolò da Fara.

Ambrogio di Linguadoca, intanto, da Buda tentava di persuadere Ladislao d’Ungheria a sostenere i Crucisegnati; ma costui, ottenuti benefici dal Papa, pur avendo assicurato l’appoggio di una potente Armata navale, alleatosi col Capitano di Ventura Jacopo Piccinino, lungi dall’onorare la parola, dirottò le proprie risorse a difesa di Siena e Genova.

La disonorevole defezione fu emulata dal Vescovo Pietro Urrea di Tarragona che sodalizzò col Sovrano, abbandonando il comando cristiano.

L'assedio, trasformatosi in una battaglia di enorme portata, terminò con una irruzione nel campo turco e con la ritirata del Sultano ferito.

A sostegno della preghiera per il felice esito della campagna, il Papa ordinò la Campana di Mezzogiorno.

I preliminari

Alla fine del 1455 riconciliatosi con tutti gli Avversari Hunyadi si dette ai preparativi: approvvigionò a proprie spese la fortezza; la protesse con un Presidio comandato dal cognato Mihàly Szilàgvi e dal primogenito Laszlo; arruolò un’Armata di soccorso e una Flotta di duecento corvette e si avvalse dell’esperienza di un solo alleato sicuro: il Frate francescano Giovanni da Capestrano che, incaricato dal Papa con sei Confratelli di predicare la Crociata, infiammò d’entusiasmo Contadini, Terrieri e bande mercenarie.

Janòs raccolse circa trentamila uomini, mentre centomila Turchi marciavano su Belgrado.

Il 4 luglio del1456 l'assedio iniziò.

Szilágyi disponeva di circa settemila Soldati, all'interno del castello.

Mehmet aveva già da giorni occupato la base del promontorio e aperto il fuoco sulle mura fin dal 29 giugno, disponendo in tre sezioni i Rumeli, ovvero gli Europei, perché amministrassero la più gran parte dei suoi trecento cannoni e la Flotta di circa duecento navi: alloggiò i Primi sul lato destro; schierò i Corpi dell’Anatolia sul lato sinistro; al centro pose i Giannizzeri: Corpo di Fanteria pesante e sua agguerrita Guardia personale del Sultano. Posizionò, poi, i natanti a Nord/Ovest della città per interdire l’arrivo di aiuti alla fortezza e sorvegliò la Sava da Sud/Ovest per proteggere la propria ala, sotto minaccia di carica di Hunyadi.

Il Danubio era controllato ad Est dagli Spahi, ovvero la Cavalleria leggera araba incaricata di prevenire l’affiancamento nemico a destra.

Questo formidabile spiegamento incontrò la sola resistenza di settemila Armati e di Cittadini volontari.

Janòs fu informato dell’assedio mentre era nel Sud dell'Ungheria, per reclutare Cavalleria leggera e, poiché pochi dei suoi amici furono disposti a fornirgli truppe, ripiegò sul Volontariato rurale.

Nella regione si trovavano anche Giovanni da Capestrano, inviato per evangelizzare i Greci Ortodossi, e il Cardinale Giovanni Carvajal, latore del Breve nel quale il Papa bandiva la crociata antiturca.

Pur predicando in latino per l’ignoranza dell’idioma locale, raccolto un gran numero di uomini male addestrati e peggio equipaggiati, il Frate si mise in marcia verso Belgrado.

Consapevoli di essere numericamente inferiori agli Ottomani, contavano sulla resistenza del formidabile castello di Belgrado, consolidato quando la città era stata designata capitale del Principato serbo dal Despota Stefan Lazarevic, nel1404, amargine della battaglia di Angora e proprio in vista di temuti attacchi turchi, dopo quelli già subiti dai Mongoli.

L’edificio, uno straordinario trionfo dell’Architettura militare dell’epoca, era dotato di tre linee difensive efficacemete separate da trincee e alte mura: palazzo interno con possente Donjon; città alta, con campo base militare con quattro cancelli e doppia cinta muraria; città bassa con cattedrale centrale e porto sul Danubio.

I lati a Nord ed a Est erano consolidati da una ulteriore inferriata e varie torri una delle quali: la Nebojsa, era funzionale all’Artiglieria.

Il 14 luglio Janòs trovò il centro bloccato dalla Flotta ottomana, ma affondò  tre grandi galee e catturò quattro grandi vascelli e venti imbarcazioni minori.

Danneggiata l’Armata nemica, trasbordò le truppe e i viveri all’interno della inespugnabile rocca; tuttavia, Mehmet II non aveva intenzione alcuna di recedere: dopo una settimana di intenso fuoco, aprì alcune brecce nelle mura e il 21 ordinò un poderoso assalto, iniziato al tramonto e continuato tutta la notte.

Hunyadi ordinò ai suoi di gettare legno coperto da pece e appiccarvi il fuoco e presto sostenute fiamme separarono i Giannizzeri dai sodali che si accingevano a penetrare nella città bassa: la battaglia infuriante tra costoro e gli uomini di Szilágyi, nella città bassa, registrò un netto successo cristiano.

Gli Ungheresi respinsero gli Invasori fuori le mura e massacrarono quelli che le avevano varcate. Quando, poi, un incauto Turco tentò di issare la bandiera araba sulla cima del bastione, un Soldato magiaro: Titus Dugovi, lo rovesciò di sotto precipitando con lui e sacrificando se stesso.

Battaglia e conseguenze

Il giorno successivo alcuni Contadini/crociati avviarono un'azione spontanea posizionandosi sulla linea nemica e attaccando gli Spahis che tentavano invano di disperderli: l’iniziativa isolata, d’improvviso, si ribaltò in una vera battaglia con Giovanni da Capestrano che capeggiò l’assalto contro la retroguardia ottomana al di là della Sava appellandosi a San Paolo: …Colui che ha iniziato in voi quest'opera buona, la porterà a compimento!...

Parallelamente Janòs spostò la Fanteria pesante fuori dal forte, per vanificare il ruolo dei cannoni in campo avversario.

Sorpresi dall’imprevedibile e duplice azione, i Turchi batterono in ritirata: la Guardia del Sultano provò inutilmente a contenere il panico e a riconquistare il controllo del campo e lo stesso Mehmet si gettò nella mischia ma, colpito da una freccia, svenne.

Riprese conoscenza a Sarona ove, appresa notizia della disfatta e della morte di gran parte dei suoi Comandanti tentò di suicidarsi col veleno, prima di decidersi a tornare a Costantinopoli.

Gli Ungheresi pagarono a quella vittoria un altissimo pedaggio: la peste stroncò molte vite, a partire da quella dello stesso Janòs.

La fortezza fu poi rafforzata e furono consolidate le mura esterne nelle quali i Turchi avevano aperto brecce, con la porta Zidan e la torre Nebojsa Pesante: nel 1521 il Sultano Süleyman ne avrebbe comunque avuto ragione.

La reazione armata di Belgrado fermò comunque l'avanzata ottomana verso l’Europa cristiana per settanta anni, malgrado la presa di Otranto del 1480/ 1481 e le incursioni in Croazia e Stiria del 1493.

Dopo l'assedio, la Serbia e la Bosnia furono assorbite nell'Impero mentre Valacchia, Khanato tartaro di Crimea e Moldavia furono convertiti in Stati vassalli. Non si comprende ancora perché il Sultano non attaccasse l'Ungheria e perché rinunciasse all’idea di procedere in quella direzione, dopo l’infausta campagna di Belgrado. Di recente si è ritenuto che egli mirasse a rendere il Danubio e la Sava confini del suo Impero, al cui interno contava di collocare i Balcani con conseguente esigenza di ridimensionare l'influenza ungherese e veneziana nell'area.

In quest'ottica, verosimilmente, l'assedio di Belgrado del 1456 era stato progettato per solo dotarsi di una base cruciale all’attacco ai Balcani.

E’ certo che gli equilibri di potere si spostarono in favore degli Ottomani, poiché l’ipotesi di espellerli dall'Europa non aveva fondamenta.

La circostanza determinò le politiche degli altri Stati: anche Mattia Corvino rinunciò alla guerra contro i Turchi, consapevole di avere risorse insufficienti e di non disporre di Alleati.

Dopo la battaglia di Mohàcs del 1526, essi recuperarono i cannoni perduti da Mehmed II.

Bibliografia