Donne nella Storia

Visconti Agnese

di Ornella Mariani
Lapide ad Agnese Visconti.
Lapide ad Agnese Visconti.

Agnese Visconti

La sua vicenda cominciò nel 1380, quando le grandi Dinastie italiane rilanciarono i matrimoni come sodalizi politici: allineando lo stemma giallo e nero mantovano al biscione milanese, Bernabò Visconti convenne il matrimonio fra la figlia Agnese, avuta da Regina della Scala, e il quindicenne Francesco Gonzaga, decisionista figlio di Ludovico II e Mecenate al punto da guadagnarsi presto l’appellativo di Magnifico.

Nata nel 1363 aMilano, la bellissima fanciulla era stata promessa a soli dodici anni dall’ imperioso, aspro e crudele genitore, intenzionato a trarre dal connubio quei vantaggi politici maturati anche attraverso le nozze delle altre nove figlie legittime: Taddea, Verde, Valentina, Antonia, Caterina, Maddalena, Lucia, Elisabetta e Anglesia.

Fissata la dote in cinquantamila scudi d’oro e nella titolarità delle città di Parma, Cremona, Brescia e Bergamo, si procedette al rito nuziale, officiato fra il 1375 ed il 1380.

Malgrado in quella unione i sentimenti non trovassero cittadinanza, la coppia sembrò ben assortita; tuttavia, quando nacque la piccola Alda e non l’atteso maschio, i rapporti fra coniugi e fra Famiglie si gelarono e, se Agnese cominciò ad essere divorata dalla solitudine e dalla frustrazione, Francesco imputò il proprio distacco alla Ragion di Stato.

In quel periodo nel quale, fiancheggiato da Luigi da Grado, egli era succeduto al padre nel ruolo di quarto Capitano di Mantova e di Vicario imperiale, infatti, sull’area settentrionale della Penisola si avvicendarono varie calamità: terremoti ed epidemie cui si aggiunsero torbidi provocati dal tentativo di Antonio della Scala di impadronirsi del territorio e il colpo di Stato effettuato a Milano, in danno del pugnace Bernabò, dal nipote Duca Gian Galeazzo, Conte di Virtù appena succeduto al padre Galeazzo II.

Deportato nel castello di Trezzo, il vecchio Visconti vi si spense forse avvelenato dopo sette mesi di indicibili stenti e umiliazioni, in un destino condiviso dai figli maggiori Ludovico e Rodolfo, mentre ai minori Carlo e Mastino veniva irrogato l’esilio.

Le conseguenze di quegli eventi si insinuarono fra Agnese e Francesco, causando la definitiva lacerazione coniugale quando i germani di lei, nel corso delle drammatiche peregrinazioni, si recarono invano proprio a Mantova nella convinzione di ottenere il sostegno del cognato grazie alle pressioni esercitate dalla sorella.

Il Gonzaga non solo prese le distanze dalle richieste di costoro, ma aprì relazioni amicali con l’usurpatore.

L’atto fu considerato dalla consorte un imperdonabile tradimento, oltre che causa della rovina dei fratelli cui ella seguitò a fornire segretamente sostegno economico e politico, fino a cercare possibili Alleati utili alle loro giuste rivendicazioni.

Francesco, nel frattempo, aveva già accolto a Corte Giorgio Lampugnani, Ambasciatore di Gian Galeazzo cui il rancore di Agnese era ben noto: ella non si era mai astenuta, infatti, dal formulare in pubblico sprezzanti e duri giudizi di censura sul suo operato.

La tensione nel palazzo mantovano, però, montò quando l’odiato cugino fu sconfitto da Padovani, Bolognesi e Fiorentini e quando la mancata nascita di un erede le valse una serie di vessazioni: Francesco le interdisse financo il lutto per il genitore, non risparmiandole poi l’umiliazione di reiterate infedeltà.

Il conflitto di coppia esplose virulento in occasione del Carnevale del 1390 quando, dileggiando la moglie, il Gonzaga ne pretese un brindisi in onore di Gian Galeazzo: ella si rifiutò e dalla concitazione del diverbio, consumatosi in presenza dell’intera Corte, derivò in lui la certezza che l’insurrezione di Verona e l’avanzata delle truppe anti-viscontee dei Carrara mirassero a favorire i diritti dei cognati, con la gravissima complicità proprio della consorte.

Si vuole che la sua reazione fosse violentissima; che, da allora, egli prendesse l’abitudine di percuoterla; che la maltrattasse; che la minacciasse anche di morte, ritenendone la condotta intollerabile ed inconciliabile con le proprie scelte diplomatiche.

I rapporti fra i due ne uscirono devastati e furono definitivamente compromessi quando, per rafforzare i legami col Ducato lombardo e offendere Agnese, il Gonzaga si offrì di scortare nel viaggio verso la Francia Valentina, figlia proprio di Gian Galeazzo e promessa sposa di Luigi di Turenna, fratello di Carlo VI.

In quell’avvelenato contesto e nel perdurare della sua assenza, non è escluso che la giovane Duchessa avviasse una relazione sentimentale col membro di Corte Antonio da Scandiano, cui Francesco aveva affidato la sicurezza della consorte.

La notizia squassò la Corte ed egli ne fu informato prima dalla Cameriera Elisabetta de’ Combaguti e poi da Giovanni da Vicenza, che ne aveva appreso dal Paggio Pierino da Bologna.

Il Gonzaga reagì con inaudita ferocia anche per le implicazioni politiche della vicenda: si diceva a gran voce, infatti, che gli Adulteri progettassero una rivolta supportata dai Carrara e tesa a restituire il maltolto a Carlo Visconti.

Antonio da Scandiano fu arrestato la sera del 27 gennaio del 1391.

Agnese fu confinata e posta sotto sorveglianza nel proprio appartamento.

In ossequio agli Statuti Mantovani che prevedevano la pena capitale per quel duplice reato: tradimento ed attentato allo Stato, il Duca dispose l’immediato giudizio delegandone l’istruttoria e la conduzione ai Giudici Obizzone dei Gardesini e Giovanni Della Capra e al Cancelliere/Notaio Bartolomeo de Bonatti.

L’inchiesta, durata dalla fase preliminare all’emissione della sentenza solo una manciata di ore, fu celebrata a porte chiuse nel Palazzo del Domino e i testi furono escussi nel mattino del 5 febbraio: oltre alla Elisabetta dè Combaguti, al banco dei testimoni sfilarono anche Beatrice di Ser Gori e Sidonia di Pavarolo, Assistente all’abbigliamento della Duchessa

A conclusione del velocissimo Processus ac sententiae contra dominam Agnatem Vicecomitem et Antonium Scandianum, accusati di un amorem illicitum et nefarium, fu data lettura della sentenza ai due Imputati che, ammessa la propria colpa, finirono damnatos mulierem in amputazione capitis virum furcis, ovvero l’una alla scure e l’altro alla forca, condividendo il carnefice: Giovanni Cavallo.

L’esecuzione fu ratificata dal Gonzaga, che la fissò all’alba del 7 di febbraio del 1391 disponendo la tumulazione dei cadaveri senza segni distintivi.

La notizia raggiunse tutte le Corti europee e, contro la versione ufficiale, circolarono ricostruzioni diverse degli eventi: era diffusa convinzione che Agnese fosse stata accusata ingiustamente e che solo pretesti politici fossero alla base della decisione del Duca, accusato di avere corrotto i testimoni per liberarsi dell’ingombrante legame e, verosimilmente, influenzato anche da Gian Galeazzo cui si imputava l’aver alimentato l’infamante diceria per vendicarsi dello sprezzo manifestatogli dalla cugina.

Due anni dopo, Francesco sposò Margherita Malatesta che lo rese padre di Gianfrancesco; tuttavia, per effetto di una tara materna, l’erede nacque affetto da quel rachitismo di cui la stessa madre morì nel 1399.

Per  la seconda volta vedovo, egli partì per la Terra Santa.

Attualmente, memoria della sfortunata Duchessa è testimoniata da una lapide alloggiata nel XIX secolo nel giardino in cui ella fu assassinata: In questo pressi nel febbraio del 1391 venne decapitata Agnese Visconti sposa di Francesco Gonzaga, Capitano del Popolo, nell’età di 23 anni.

A tali parole fanno eco quelle di Girolamo Florio, autore della tragedia romantica Agnese Visconti: …  Un tradimento inaspettato insidia i tuoi giorni, o Francesco. Una congiura spiegò in tua reggia famigliar nemico. Tuo nuzial letto è mal sicuro asilo….

Bibliografia