Le Grandi Battaglie

Da Crécy a Patay: le grandi battaglie della Guerra dei Cent'Anni

di Ornella Mariani
Miniatura della battaglia di Agincourt (XV sec.)
Miniatura della battaglia di Agincourt (XV sec.)

Ancora separata dalla Scozia, nel 1330 l'Inghilterra esercitava sovranità sull'Aquitania, regione geograficamente parte del Regno di Francia ma cruciale nel commercio marittimo europeo. Nel maggio del 1337 Filippo VI la confiscò urtando la suscettibilità di Edoardo III che, sfruttando la discendenza capetingia materna e dichiarandosi legittimo pretendente al trono francese, nel successivo novembre invase le Fiandre.

Era così maturata la Guerra dei Cent'Anni: motivata nella forma da ragioni dinastiche ma nella sostanza dalla protervia di due Sovrani che, ostili ad accettarsi l'uno subordinato all'altro, trasformarono il loro antagonismo in un drammatico scontro tra Popoli.

Il 23 giugno del 1340 nel porto di Sluys, sedicimila fra Armigeri e Arcieri inglesi arrembarono nave su nave nemica fino alla quarta linea concludendo la campagna di aggressione con una tregua causata dalla insufficienza economica. La belligeranza si inasprì nel 1344 quando, confortato dai Lord, dai Comuni e dal Clero esigenti la conclusione dell'attività militare con una battaglia decisiva o con una pace onorevole e definitiva, il Re ordinò ai Terrieri, in alternativa all'arruolamento e ciascuno in base alla capacità reddituale, il versamento di una somma di denaro sufficiente a coprire la spesa d'un altro combattente; concesse l'amnistia a molti fuorilegge; consolidò la propaganda antifrancese accendendo un forte sentimento nazionalista contro l'ipotesi di un'invasione nemica. Ne conseguirono le vittorie di Caen, Blanchetaque e Crécy, rispettivamente del 26 luglio e del 24 e 26 agosto del 1346, fondate sull'utilizzo del long bow e della lancia intesa come struttura unitaria d'impiego composta da una flessibile cellula mista di combattenti. Le agguerrite schiere di Filippo VI vi furono clamorosamente annientate, mentre nella cornice di quelle tremende débacles francesi, a margine dell'inizio del declino della Cavalleria, assumeva carattere leggendario la figura del giovanissimo Principe Nero: Edoardo di Woodstock, figlio di Edoardo III e di Pilippa di Hainaut; nato il 15 giugno del 1330; Conte del Chester nel 1333, Duca di Cornovaglia nel 1337, Principe di Galles ed erede al trono nel 1343.

Cominciò al principio dell'estate del 1346 quando, riparati a Marsiglia con trentaquattro galee e dodicimila uomini di cui seimila esperti nel maneggio della balestra, i nobili genovesi Antonio e Stefano Doria si posero al servizio della Corona franca non solo per fini di lucro, ma anche per garantirsi un appoggio contro Simone Vignoso, braccio armato dell'inviso Doge Giovanni Murta.

Contro lo Stato Maggiore, che li considerava plebei ed inaffidabili, dopo averli arruolati e dirottati verso Nord ove era stata segnalata la presenza dei nemici, Filippo VI li aveva raggiunti ai primi di agosto nella zona dell'estuario della Somme. Nella seconda decade dello stesso mese, sfruttando gli ostacoli naturali per la difesa dei fianchi, Edoardo III si acquartierò nei pressi di un mulino ubicato su un lieve pendìo della piana di Crécy, garantendosi il controllo dell'intero terreno di scontro. Diviso l'esercito in tre reparti, uno dei quali affidò all'ononimo figlio, fece eseguire un complesso impianto di fossati e trappole che condizionassero l' avanzata della Cavalleria avversaria; impartì l'ordine di combattere a piedi; schierò gli Arcieri in formazione a V sulla cresta dell'altura ed attese che essi si allineassero, scaricando gli archi ed arrotolandone le corde.

Al mattino del 26, esibiti gli stendardi e l'Orifiamma, l'avanguardia francese si distribuì in tre blocchi ed aprì le ostilità con una incauta ed intempestiva offensiva: nel nome di Dio e di saint Denis Filippo VI ordinò la carica ai suoi Ufficiali, obbligando i Doria a schierare in prima linea centrale i Balestrieri e ad avanzare verso la granitica parete di picche e lance della Fanteria nemica, riparata da potenti scudi e rincalzata alle spalle dagli Arcieri.

I Genovesi espressero riserve circa la opportunità della rischiosa manovra, ma furono accusati di codardìa da Carlo d'Alençon: ...Ecco cosa si ottiene ad impiegare furfanti che se la squagliano appena c'è qualcosa da fare!....

Armigeri, Arcieri e Fanti inglesi, infatti, quando essi avanzarono tentando di forzare il massiccio sbarramento, gli si opposero favoriti dall'improbabile attacco in salita su un terreno peraltro reso viscido dal violento temporale che, impacciando i Crossbowmen, causò l'allentamento delle fisse corde di canapa delle balestre fino a renderle inservibili.

Dopo l'iniziale disorientamento, i Balestrieri genovesi si inoltrarono comunque nell'area di tiro ma, a meno di duecento metri dalle prime linee avversarie, furono investiti da un pesante getto corto di frecce e caddero in oltre mille: con un volume di lancio di tre/cinque dardi, non avevano potuto competere con i Longbowmen in grado di scoccarne dieci/dodici nello stesso tempo; peraltro, non protetti dai pavesi restati con le salmerie, lungi dall'essere supportati, furono oggetto dell'orribile carneficina ordinata da Filippo VI che, come assume Jean Froissart, non percepì il loro disagio: ... Ammazzate quei gaglioffi!... Quella marmaglia non fa che bloccare l'avanzata della Cavalleria.....

Nel tentare di riguadagnare le retrovie, gli sbalorditi superstiti furono assaliti alle spalle dal contrattacco della Fanteria nemica; messi in rotta e finiti a colpi di ascia, di spada e di mazza mentre i Cavalieri francesi marciavano serrati: per ben sedici volte, la pendenza e gli ostacoli artificiali ne frantumarono la forza d'urto finché, sfiniti dal difficile impegno a caricare in salita sul terreno fangoso; disarcionati dai cavalli colpiti a morte; intralciati nei movimenti dal peso delle armature rinforzate con piastre, furono decimati.

A notte inoltrata, ferito al volto e salvato dal provvidenziale intervento del Conte di Hainaut, il Sovrano capetingio ordinò l'umiliante ritirata: ... lo scempio fu tale che a battaglia conclusa perfino il re d'Inghilterra ne ebbe ribrezzo....

Contro le circa duecento vittime inglesi, le perdite francesi furono stimate intorno alle trentamila unità fra cui una quindicina di Principi; il Duca Carlo di Alençon; il Duca Rodolfo di Lorena; il Conte Luigi I di Fiandra; il Conte del Lussemburgo e Re di Boemia Giovanni I che, pur cieco, si era battuto tenendosi saldamente legato a due combattenti.

Rifulse invece d'ardimento Edoardo di Woodstock, definito da Jean Froissart il più grande soldato della sua epoca: espresso un talento militare poi confermato a Poitiers e a Nàjera, egli adottò il motto Homouth: Ich dien; Coraggio: io servo il coraggio, mutuandolo proprio da Giovanni di Lussemburgo del quale, dopo averne vilipeso il cadavere, raccolse l'elmo ed esaltò il valore. Il crudele Principe Nero legò i suoi successi di combattente alla strategia della Chevauchée: la rapida e brutale incursione a cavallo che, eludendo lo scontro convenzionale e risolvendosi in un brutale eccidio, produsse le inenarrabili atrocità del 1346 a Caen e del 1370 a Limoges ove furono massacrati circa seimila civili senza distinzione di sesso e di età. Dopo il sostegno fornito al castigliano Pedro il Crudele, cattiva salute ed esigue finanze imposero ad Edoardo di Woodstock il rientro in patria e la rinuncia all'amministrazione dell'Aquitania. Era il 1371: l'8 giugno di otto anni più tardi, egli si spense quarantacinquenne a Westminster lasciando erede il minorenne Riccardo.

Nella notte del 26 agosto del 1346, dunque, in una spettrale Crécy gli Inglesi controllarono i feriti per cercarne di utili a garantire un riscatto e finirono i più gravi a colpi di misericordie: l'alba nebbiosa del giorno successivo illuminò uno scenario di sangue e di morte, mentre i monaci dell'abbazia limitrofa davano sepoltura ai cadaveri. Undici mesi più tardi, dopo un lungo assedio, Edoardo III prese Calais facendone la testa di ponte per le successive invasioni: era, ormai, il Sovrano più temuto e rispettato d'Europa mentre la Francia si abbandonava alle derive di stravolgimenti interni. Dopo che Giovanni II aveva irrogato la decapitazione ad alcuni Nobili normanni; disposto l'arresto di Carlo di Navarra per tradimento e confiscato ampi territori della regione, la Normandia chiese aiuto agli Inglesi.

Sbarcati nel luglio del 1356 a Cherbourg, essi saccheggiarono la Guascogna. Tuttavia, mentre da Bordeaux puntavano verso Nord con ingenti bottini, esito di incursioni sul Berry e sul Limosino, il 3 settembre furono attaccati da un'Armata di circa ventimila uomini a Maupertuis e arrestati dalla distruzione di tutti i ponti sulla Loira.

Deciso a pareggiargli i conti, Giovanni II concentrò a Chartres il più numeroso esercito del secolo e, verso il 10 del mese si diresse verso Sud; procedette a marce forzate verso Poitiers e anticipò Edoardo di Woodstock inibendogli manovre di ripiego, inseguendolo e guadagnando terreno.

Un'Ambasceria papale tentò una mediazione fra i belligeranti, ma domenica 18 settembre, fallita ogni possibilità di scongiurare lo scontro, il Sovrano franco si acquartierò; divise le forze in quattro contingenti; pose in prima linea circa trecento Cavalieri scelti affidandone la guida ai Generali John Clermont e Arnold d'Audrehem, sostenuti da Mercenari tedeschi armati di picche ed incaricati di opporsi agli Arcieri inglesi; attestò alle spalle tre gruppi scelti, riservandosene il comando condiviso dal Delfino Carlo V e dal Duca di Orléans.

Parallelamente, gli Inglesi si trincerarono costruendo staccionate; alloggiando i loro formidabili tiratori sulle alture limitrofe, secondo lo schema tattico già felicemente sperimentato a Crécy; avvalendosi della posizione difensiva di un pianoro dotato di ostacoli naturali e con un bosco alle spalle; schierando i carriaggi lungo un vecchio percorso romano che assicurasse protezione al più esposto lato destro; organizzando in tre unità di Lance gli Arcieri in formazione a V su entrambi i fianchi; assegnando una modesta unità di Cavalleria a Captal de Buch.

A sera Giovanni II tenne un Consiglio di Guerra e vi privilegiò un piano d'attacco conforme alle regole cavalleresche piuttosto che ad una efficace tecnica militare di resistenza: la Fanteria avrebbe rincalzato il primo affondo, condotto da un'avanguardia di quattrocento Cavalieri.

All'alba del 19, aprì le ostilità.

Gli Inglesi simularono subito un cedimento dell'ala destra, provocando l'affrettata e scomposta carica francese e il Principe Nero finse la ritirata quando uno dei due Marescialli di Francia, scorti i suoi pennoni, ordinò di avanzare: l'urto degenerò una terrificante strage di uomini e cavalli colpiti da una intensa ed ineludibile pioggia di frecce, a riprova della inefficacia della Cavalleria pesante già sancita a Crécy.

La Divisione del Delfino si dette ad un drammatico arretramento cui fece seguito la discesa in campo del Duca di Orléans; ma il panico isolò quella pur formidabile forza d'assalto guidata da Giovanni II e alla quale gli Inglesi, ormai privi di dardi, opposero il rincalzo della Fanteria.

L'urto fu durissimo, ma Edoardo di Woodstock ne allentò l'impegno introducendo una riserva mobile che, emersa dal bosco, intervenne assalendo le retrovie francesi; poi, egli stesso si lanciò in direzione dell'Orifiamma e prese prigioniero Giovanni II invano teso alla strenua difesa dell'onore suo e della Nazione.

Orfane della sua guida e prive del sostegno di quasi tutta la Nobiltà Maggiore e di gran parte della Nobiltà Minore, le truppe si sbandarono: la battaglia si conclusecon un terrificante bagno di sangue che rese difficile contare i caduti su quello stesso terreno sul quale, oltre seicento anni avanti, Carlo Martello aveva arrestato l'espansionismo arabo.

La reazione popolare si abbattè sull'esercito, ritenuto responsabile della intollerabile débacle e della cattura del Re, nel frattempo deportato a Bordeaux. Sette mesi più tardi, Parigi fu scossa da una violenta serie di rivolte a fronte delle quali il Delfino manifestò tutta la sua impotente incapacità: pressocché ostaggio degli Stati Generali, fu costretto ad una serie di concessioni in danno della stabilità e del prestigio della Corona e, ai guasti prodotti dalla Grande Ordinanza, si aggiunsero quelli della Jacquerie e del collasso finanziario poiché la liberazione del prigioniero impose l'esborso di un riscatto equivalente al doppio delle entrate annuali.

In quel drammatico clima, maturò la Battaglia di Azincourt: stremati dalla guerra civile, i Borgognoni si rivolsero ad Enrico V d'Inghilterra che, il 13 agosto del 1415, sbarcò in forze a Le Havre con diecimila uomini; conquistò la roccaforte di Harfleur e, a fronte delle consistenti perdite, si diresse a Calais per svernare ed attendere rinforzi necessari alla campagna militare differita all'anno successivo.

A quel tempo, le forze inglesi erano composte precipuamente da Arcieri armati del micidiale longbow, di dimensioni e potenza maggiori rispetto agli archi e alle balestre in dotazione agli altri eserciti. La loro Cavalleria, pertanto, aveva alleggerito le armature fidando più sulla mobilità che sulla forza d'urto contrariamente a quella francese, ancora dotata di un equipaggiamento tanto corazzato da produrre una carica devastante ma frenata da enormi limitazioni di movimento.

Sulla via di Calais, ove contava di giungere prima dell'inverno, le truppe furono contagiate da una massiccia dissenteria: la circostanza fu colta al volo dal Connestabile di Francia Carlo d'Albret e dal Maresciallo Jean Le Maingre che gli sbarrarono il passo per portarle allo scontro aperto. Disorientato, il Sovrano d'oltreManica seguì il corso del fiume Somme, ripiegando verso Sud in cerca di un guado ed ignorando che, dalla sponda opposta, i suoi movimenti erano sorvegliati: traversate le acque a Voyenne, trovò i Francesi posizionati in modo da rendere inevitabile lo scontro nell'area boschiva tra Azincourt e Tramecourt. Si attestò, allora, in un'unica linea con tre Divisioni di Cavalieri e Fanti intervallati da cunei di Arcieri, ciascuno dei quali dotato di un palo con punta ricoperta di ferro da piantare avanti a sé per contrastare l'eventuale carica nemica e, tenuto per sé il nucleo centrale, affidò il comando dell'ala destra e dell'ala sinistra rispettivamente al Duca di York e a Lord Camoys.

Per contro, i Francesi si schierarono in tre segmenti: il battaglione d'avanguardia col Connestabile Charles d'Albret, col Maresciallo Le Maingre e col Duca d'Orléans, supportati da squadroni di Cavalleria; il secondo ed il terzo, col Duca di Alençon e col Conte di Marle.

Anche questa volta il maltempo giocò un ruolo determinante: il terreno scivoloso condizionò le attività della Cavalleria limitata nella mobilità dalla presenza laterale di alberi e obbligata ad un difficile attacco frontale: era il 25 Ottobre del 1415, giorno di san Crispino.

Dopo un fitto scambio di Ambascerie che intavolassero improbabili trattative, gli indugi furono rotti: avanzando fino a poche centinaia di metri dagli avversari, Enrico ordinò ai suoi Arcieri di fissare ed inclinare i loro pali e di scoccare con i temuti archilunghi la prima salva di frecce. Stando alle cronache coeve, essa fece oscurare il cielo. Per contro, lungi dall'impegnare i Balestrieri per proteggere l'affondo, la Cavalleria francese rincorse l'irrinunciabile privilegio di lanciarsi subito e con le insegne ben in vista: quella che era stata sempre considerata una delle Armi più potenti nello scenario militare europeo dell'epoca subì una ulteriore e cocente umiliazione, poiché la pioggia insistente ne vanificò la mitica potenza quando i cavalli crollarono sotto le linee nemiche e i soldati appiedati non potettero né alzarsi né difendersi, a causa della imponente armatura.

L'Orifiamma portato da Guillaume de Martel finì nella polvere: la disordinata mischia si risolse in sole tre ore malgrado le forze in campo fossero nettamente sbilanciate in favore dei Francesi, i cui principali Ufficiali furono atterrati. Sul campo straripante di cadaveri, furono tratti moltissimi prigionieri tra i quali il Maresciallo Le Maingre e il Duca di Orléans; ma la battaglia non era conclusa: dalle retrovie inglesi giunse voce che un gruppo di avversari provenienti dal vicino castello e guidati da Ysambart d'Anzicourt aveva assalito e razziato il Quartier Generale portando via anche la corona di Enrico V che, temendo un accerchiamento, ordinò il massacro degli ostaggi.

L'eccidio cessò solo quando si comprese che l'azione era isolata; ma a quel punto, incapaci di sfruttare il vantaggio numerico e di mantenere la disciplina, i Francesi erano già stati annientati: il Connestabile non aveva saputo imporre la sua autorità ai Nobili.

In conseguenza dell'ennesima disfatta, nel 1420, fu firmata la Pace di Troyes in cui Carlo VI diseredò il figlio Carlo di Valois e designò alla successione Enrico V, cui dette in sposa la figlia Caterina. Ma nel 1422 entrambi i Sovrani si spensero: secondo gli accordi fissati, la corona francese passò ad Enrico di Lancaster; ma Carlo di Valois rinnegò l'intesa e guidò la Francia verso la riscossa nazionale: il 17 Luglio del 1429 fu incoronato a Reims col nome di Carlo VII mentre ai nemici restava la sola Calais.

Il 18 giugno precedente s'era combattuta la Battaglia di Patay: una delle più cruente della Guerra dei Cent'Anni. Dopo il soccorso prestato all'assediata Orléans, i Francesi avevano riconquistato diverse roccaforti nella valle della Loira assumendo il controllo di postazioni strategiche per l'assalto ai territori inglesi e borgognoni a Nord.

La cosidetta Campagna della Loira fondò su cinque azioni militari: l'assedio d'Orléans; la Battaglia di Jargeau; la Battaglia di Meung–sur-Loire; la Battaglia di Beaugency; quella Battaglia di Patay di importanza pari allo scontro di Azincourt. Gli Inglesi vi posero in essere le medesime tattiche ma questa volta, già vittoriosi a Jargeau, Meung-sur-Loire e Beaugency, i Francesi decimarono gli Arcieri nemici dei quali colsero il punto di vulnerabilità nella sostanziale incapacità difensiva nei combattimenti ravvicinati, a causa dell'equipaggiamento leggero.

Dopo il crollo di Orléans, gli Inglesi mossero da Parigi ma, perduto il controllo di ben tre ponti, si arresero a Beaugency il giorno prima dell'arrivo delle truppe di rinforzo comandate da Jhon Falstoff: gli uomini di Carlo VII si fermarono in prossimità di Meung-sur-Loire mentre gli avversari, guidati da Giovanni Talbot Conte di Shrewsbury e Tommaso Scales si acquartieravano nei pressi del borgo di Patay. Un'avanguardia di circa mille e cinquecento unità comandate da La Hire e Poton de Xaintrailles attaccò a sorpresa i nemici, sterminandoli e, finalmente, l'assalto frontale di Cavalleria riportò risultati sensazionali: Talbot fu catturato con molti altri Aristocratici. Giovanni di Bedford gli fece carico della sconfitta e lo defraudò dello status di Cavaliere, spianando la via alla pessima reputazione di Falstoff: l'offensiva subìta lungo la Loira sottrasse prestigio a Comandanti inglesi e i Francesi poterono marciare verso Rheims ed incoronarvi il Delfino.

Riepilogo battaglie dal 1337 al 1453:

Bibliografia: