Le Grandi Battaglie

La Battaglia di Lepanto

di Ornella Mariani
La Battaglia di Lepanto
La Battaglia di Lepanto

Data: 7 ottobre del 1571

Località: Acque del Golfo di Corinto

Parti in conflitto: Lega Santa contro Turchi

Protagonisti occidentali:
Alla epica impresa navale parteciparono personaggi fra i più celebri del tempo, a partire da Miguel de Cervantes, che vi perse l’uso della mano sinistra; tuttavia, la figura più prestigiosa fu quella del giovanissimo don Giovanni d’Austria, figlio illegittimo di Carlo V e Barbara Blomberg, cresciuto nell’anonimato spagnolo col soprannome di Jeròmin e riconosciuto, secondo le volontà paterne, da Filippo II come fratellastro ma mai investito del titolo di Infante. Nel 1568, battendosi contro i pirati barbareschi, aveva riscosso tale considerazione da conseguire il comando delle forze spagnole anche contro l’insurrezione dei Moriscos a Granada. Lo strepitoso successo conseguito a Lepanto, suscitò l’invidia del germano che, forse, dopo avergli conferito il modesto incarico di Governatore dei Paesi Bassi spagnoli, lo fece avvelenare per stroncarne la popolarità. Designato dal Papa Comandante Supremo dell’Armata cristiana, egli fu fiancheggiato da Sebastiano Venier, Comandante della Flotta veneziana; da Agostino Barbarigo, Ammiraglio della Serenissima; da Marcantonio Colonna, Ammiraglio romano; da Pietro Giustiniani, Priore dell’Ordine dei Cavalieri di Malta; da Alessandro Farnese Duca di Parma; da Andrea Provana di Leini, Comandante della Marina del Ducato di Savoia; da Gian Andrea Doria, Comandante del Naviglio spagnolo in Italia.

Protagonisti turchi:
Alì Muedhdhin Zadeh Pascià, Comandante Supremo della Flotta ottomana; Ulugh Alì Pascià di Algeri; Mehmet Shoraq Pascià di Alessandria; Amurat Dragur Comandante della Squadra navale di riserva; Khara Khodja Capitano Generale.

Obiettivi:
difesa dell’Occidente dall’espansione dei Turchi che, presa di Belgrado; occupata Ungheria e Mesopotamia; assediata Vienna, fin dalla occupazione di Costantinopoli del 1453 avevano issato le loro bandiere sulle coste dell’Egitto e dell’Asia Minore ed assunto il controllo di tutti i traffici dell’Adriatico e dell’Egeo, dal 1569 attaccando a più riprese Cipro, avamposto cristiano nel Mediterraneo. Superando antiche contrapposizioni, varie potenze si coalizzarono aderendo, il 25 maggio del 1571, alla Lega Santa voluta da Pio V: la Spagna di Filippo II; i Ducati di Savoia, Parma e Urbino; le Repubbliche di Venezia, Genova e Lucca; Cosimo de’ Medici; gli Estensi; i Gonzaga; l’Ordine dei Cavalieri di Malta. Tutti insieme scesero in campo con duecentonove Galere, trenta navi da carico, sei formidabili galeazze veneziane, tredicimila Marinai, quarantamila Rematori, ventottomila soldati, duemila cannoni ed un imprecisato numero di natanti da carico ed imbarcazioni minori. Nella forma, Pio V volle la coalizione per soccorrere la veneziana Famagosta, annientata dai Turchi; nella sostanza, tesa a condizionare l’espansionismo musulmano in Occidente: egli stesso benedisse i vessilli che, nella partenopea basilica di Santa Chiara, il 14 agosto del 1571, furono solennemente consegnati a don Giovanni d'Austria.
A Lepanto, tuttavia, più della fede investita nella imponente crociata, contarono Politica e Strategia militare, sovrapposte fino a vicendevolmente influenzarsi quando ostilità e diffidenza animarono i principali protagonisti della Marineria del tempo: la Spagna di Filippo II e la Repubblica di Venezia, disunite a fronte del Sultano Selim II proteso al dominio assoluto del Mediterraneo.

Le circostanze avvicendatesi nei primi mesi del 1570: stasi del commercio veneto nel Levante ed aggressioni ottomane ai presidi della Serenissima nell’Egeo e nell’Adriatico, rivelano l’importanza del danno inferto all’economia della Repubblica che, consapevole di non poter far fronte da sola alla guerra, si rivolse al Papa. Egli non perse l’occasione per portare Occidente ed Oriente al definitivo regolamento di conti in nome di Dio e in difesa degli asseriti interessi della Cristianità: vincendo le resistenze spagnole, dopo estenuanti trattative durate dal 2 luglio del 1570 al 20 maggio del 1571, compose la Lega Santa. Tuttavia la discordia fra le parti, in seguito, vanificò il successo conseguito a Lepanto e la portata dei vantaggi che avrebbero potuto derivarne per tutta la coalizione: per le pretese egèmoni di Filippo II, la Serenissima non riconquistò Cipro e fu obbligata ad un trattato di pace sfavorevole, commentato salacemente dal Gran Vizir Sokolli: egli esortò i Veneziani ad investire in lui più fiducia di quanta ne riponessero negli Stati europei amici. Dopo Lepanto, in ogni caso, se da un lato sfumò il mito della invincibilità della Flotta turca, dall’altro si diffuse l’attività dei Barbareschi che, a fronte di una Spagna impegnata dalle rivolte dei Paesi Bassi, rilanciarono spietate Guerre di Corsa.

La Battaglia

Alla fine di agosto la grande Armata cristiana, alla fonda a Messina, fu raggiunta dalla notizia dell’invasione turca di Nicosia e Famagosta. Fu il segnale di guerra.

La Flotta della Lega mosse dalla Città del Faro e, pur disturbata da nebbia e vento forte, approdò a Viscando ove apprese della orrenda fine inflitta dai Turchi al Governatore Marcantonio Bragadin ed alla sua guarnigione, cui era invece stata garantita la sicurezza a condizione che abbandonassero Cipro: Lala Kara Mustafa Pasha, che nell’assedio aveva perso un figlio e circa cinquantamila uomini, in sprezzo della parola data aveva fatto appendere i prigionieri ai banchi delle sue galee e li aveva fatti giustiziare. Il 17 agosto Bragadin era stato scorticato vivo e la sua pelle, conciata e riempita di paglia, era stata innalzata sulla sua imbarcazione con le teste di Alvise Martinengo, di Astorre Baglioni e di Gianantonio Querini.
I trofei furono poi fatti sfilare nelle vie di Costantinopoli.
La circostanza sollevò un fremito d’orrore in tutto l’Occidente e il convoglio alleato, contro il maltempo, preso il mare a Cefalonia e deciso a regolare i conti alla Flotta della Sublime Porta, raggiunse il 6 ottobre il golfo di Patrasso. La domenica del 7 ottobre, intorno a mezzogiorno, le parti furono a tiro: la Marina crociata e quella turca si fronteggiarono avanti all'imboccatura del golfo di Corinto in quella che fu detta anche Battaglia delle Curzolari o Battaglia delle Echinadi.
Lo schieramento ottomano aveva Al Pascià al centro, con l'Ammiraglia difesa da novantaquattro galere; Mehemet Shoraq con cinquanta galere, sul lato destro; Ulugh Alì con sessantacinque galere, sul fianco sinistro. In fondo, era allineata la retroguardia con dieci galee e sessanta navi minori, controllate da Amurat Dragut.

La formazione cristiana in assetto serrato aveva alla testa il ventiquattrenne don Giovanni d'Austria che, con accanto Francesco Maria II della Rovere ed oltre duemila volontari provenienti dall’Urbinate, alloggiò a destra Marcantonio Colonna e a sinistra Sebastiano Venier, affidando la protezione dei fianchi a Gian Andrea Doria e ad Agostino Barbarigo. Al centro espose due galeazze venete e ventotto galee, quindici fra spagnole e partenopee, otto genovesi e sette papali, tre maltesi ed una sabauda. In definitiva: la Real galea spagnola era accompagnata dalla Capitana del settantacinquenne Venier, dalla Capitana di Sua Santità condotta dal trentaseienne Ammiraglio pontificio Marcantonio Colonna, dalla Capitana del genovese Ettore Spinola, dalla Capitana del piemontese Andrea Provana di Leinì e dall’Ammiraglia Vittoria di Pietro Giustiniani, Gran Priore dei Cavalieri di Malta.

Il Corno sinistro si componeva, così, di quaranta galee e due galeazze venete, dieci galee spagnole e napoletane, due papali e una genovese, tutte rette dall’energico polso dell’Ammiraglio Agostino Barbarigo. Il Corno destro era invece dotato di venticinque galee e due galeazze veneziane, sedici galee genovesi, otto galee spagnole e siciliane, due sabaude e due pontificie, tutte guidate da Gianandrea Doria. Le spalle della formazione erano difese dalle trenta galee di Alvaro de Bazan di santa Cruz e la Prima Linea, controllata da Juan de Cardona, disponeva di otto galee: quattro siciliane e quattro venete. L’Armata cristiana, in sintesi, non si schierò in formazione semicerchiale ma in linea retta e distinta in tre squadre: al centro l’Azzurra, con don Giovanni, Colonna e Venier; a sinistra la Gialla, con Barbarigo; a destra la Verde con Giannandrea Doria, ciascuna preceduta da due galeazze veneziane: autentiche fortezze galleggianti utilizzate per contenere i primi affondi e scomporre lo schieramento nemico. Come riserva, in seconda linea fu alloggiata la squadra Bianca, col Marchese di santa Cruz.

Per contro, i Turchi adottarono uno spiegamento a falce, con la concavità orientata verso la Flotta occidentale e analogamente ripartita in tre gruppi: al centro Alì Pasha; a destra Mehmet e a sinistra Ulugh Alì, Signore di Algeri, diretta controparte di Doria. Capeggiati dall’Ammiraglio Mehmet Shoraq detto Scirocco, schierarono sull’ala destra cinquantacinque galee comandate da Mehmet Alì; al centro allocarono novanta galee dominate dalla Ammiraglia Sultana, su cui sventolava il vessillo verde riportante ventottomila e novecento volte a caratteri d’oro il nome di Allah; sull’ala sinistra esibirono altre novanta galee, agli ordini di Uluc’ Alì; in retrovia assettarono dieci galee e sessanta natanti minori, guidati da Amurat Dragut.
Don Giovanni portò avanti ad ogni corno due formidabili galeazze mascherate da navi da carico ed armate di Archibugieri e ne assegnò il controllo agli Ammiragli Antonio e Ambrogio Bragadin, desiderosi di vendicare il brutale assassinio del fratello Marcantonio.

All'avvicinarsi dei Turchi, essi cannoneggiarono con una inaudita potenza di fuoco infliggendo alle linee nemiche gravissime perdite; tuttavia Alì Pasha, favorito dal vento, superò lo sbarramento e guidò la propria squadra in uno scontro frontale mirato a liquidare il Comandante nemico.
L’impatto coinvolse pesantemente Barbarigo che, attestato sull’ala sinistra e posizionato sotto costa, aveva il compito di impedire all’avversario d’insinuarsi tra le sue navi ed attuare una manovra di accerchiamento: dopo strenua resistenza, egli fu comunque mortalmente ferito, mentre le retrovie soccorrevano i Veneziani per scongiurare il rischio di una rotta. Fu il primo degli Ammiragli occidentali a perdere la vita a Lepanto. La perdita fu compensata dall’avvicinarsi della riserva del Marchese di Santa Cruz, che consentì la cattura di Mehmet Soraq e la sua immediata decapitazione.

Se l’urto iniziale s’era rivelato tremendo, presto, dopo il fuoco delle Artiglierie e degli Archibugieri, il conflitto si frammentò e si combatté galea contro galea, nel tentativo comune di abbordare, speronare ed arrembare l’unità nemica o coglierla di sorpresa con manovre di aggiramento e di conseguente sfondamento di fianco o di poppa.
I Turchi aggredirono pesantemente le squadre azzurra e gialla, ovvero la sinistra ed il centro della formazione avversaria, ma furono contrastati con successo dal Colonna e da don Giovanni.
La squadra verde con le cinquantatre galee dirette da Giannandrea Doria all’inizio della battaglia aveva girato il bordo al largo, sicché sembrò che l’ala dritta da costui guidata si distaccasse dagli altri due gruppi prestandosi alla interpretazione di un presunto tradimento dell’Ammiraglio ligure i cui uomini: maltesi, veneti, siciliani e sabaudi, si allontanarono puntando al cuore della mischia.

Se alcuni Storici assumono che la ragione tattica del Doria discendesse dal tentativo di non essere aggirato da Ulugh Alì, altri sostengono che la manovra tendesse alla rinuncia indebolendo il fianco destro dello schieramento cristiano e consentendo a Ulugh Alì di prevaricare sanguinosamente la Marina della Lega, prima che intervenissero le galee spagnole e la riserva della squadra bianca. Di fatto, proprio allora, considerato il negativo andamento della battaglia, il Leader turco si allontanò e pose in salvo le unità superstiti, dopo aver asportato da poppa, per non essere riconosciuto dai nemici, il suo mappamondo di cristallo coi colori e lo zodiaco dorato.

Al centro degli schieramenti, intanto, Alì Pascià puntò alla Real di don Giovanni, mentre i suoi impegnavano Venier e Colonna; massacrò l’equipaggio della Fiorenza, in dotazione all'Ordine di santo Stefano e lasciò in vita il solo Capitano Tommaso de’ Medici con una quindicina di uomini: i Turchi arrembarono l’Ammiraglia spagnola con gran frastuono di timpani, flauti e tamburi.
Tutto sembrò perduto: don Giovanni fece alzare lo Stendardo di Lepanto con l’immagine del Redentore Crocifisso e, elevata su ogni galea una Croce, consentì ai combattenti di prendere la Comunione, secondo l’indulgenza concessa da Pio V.
D’improvviso il vento mutò direzione: le vele ottomane si abbassarono e quelle occidentali si gonfiarono. Non perse tempo il Comandante Supremo: pur ferito ad una gamba, puntò deciso sulla Sultana mentre il Reggimento di Sardegna arrembava la nave turca attaccante, trasformandola in campo di battaglia con i Musulmani a poppa e i Cristiani a prua. Al terzo assalto costoro occuparono l’intero impianto e più volte Venier e Colonna si disimpegnarono per soccorrere il Marchese di Santa Cruz.

Alla sinistra ottomana, in mare aperto, Giovanni Andrea Doria con poco più di cinquanta galee, intanto, si trovò davanti un centinaio di natanti nemici già fronteggiati dai Veneziani; pertanto, non ritenendo di doversi direttamente scontrare, si sganciò avallando negli Alleati la convinzione di una manovra di defilamento concordata con Uluc Alì. /br>Di fatto, malgrado avesse avuto l'ordine di sostenere il fianco di don Giovanni per prevenirne l'accerchiamento, lasciò il lato destro della formazione dirigendosi in mare aperto ed aprendo un pericoloso varco nel quale si insinuarono i Turchi: Uluc Alì assalì alle spalle la Capitana dei Cavalieri di Malta guidata dal Giustiniani; la circondò; ne prelevò i vessilli; catturò il Priore; lo uccise e rimorchiò l’imbarcazione. Poi, soverchiato dagli Spagnoli, dopo oltre un'ora di furioso combattimento, cercò il largo e fuggì a Costantinopoli.

L’azione del Doria produsse conseguenze negative anche sulla sabauda Piemontesa, sulla Fiorenza e sulla San Giovanni della Flotta papale. Tuttavia, la vittoria arrise ai Crociati: a fine giornata, il Comandante ottomano Alì Pascià, già ferito, si suicidò per evitare l'umiliazione della prigionìa. La sua nave fu abbordata e, contro le disposizioni di don Giovanni, il suo cadavere fu decapitato e la testa esposta sull'albero maestro dell'Ammiraglia spagnola.
La scena annientò il morale dei Turchi che abbandonarono il campo a cinque ore dall’inizio dello scontro: tutte le capitali della Lega appresero della vittoria che segnò il declino della potenza ottomana nel Mediterraneo.
Al tramonto, il mare era coperto di relitti e cadaveri.

Lepanto testimoniò l’ecatombe turca: duecentomila le vittime, tra Marinai, Soldati e Comandanti; ottomila i prigionieri; ottanta le galere bruciate o affondate; centodiciassette quelle catturate.
Da parte cristiana: ottomila vittime; quindici galere perdute e quasi tutte le altre fortemente danneggiate. L’Occidente cristiano era però salvo ed il sogno egèmone dei Turchi s’era infranto.
Sepolte le vittime nella chiesa dell'Annunziata a Corfù ed uccisi gli Arcieri e Carpentieri turchi catturati, l’Armata alleata fece rotta verso Napoli e fu solennemente festeggiata in tutto l’Occidente con Te Deum di ringraziamento: nel 1572, Pio V avrebbe istituito la Festa di Santa Maria della Vittoria poi ridefinita Festa del SS. Rosario, per celebrare l'anniversario di un evento verificatosi per intercessione della augusta Madre del Salvatore, Maria.
La bandiera dell’ammiraglia di Mehmet Alì Pascià, presa dalle pisane Capitana e Grifona, è ancora nella locale chiesa dei Cavalieri dell’ordine cavalleresco sacro militare marittimo di Santo Stefano Papa e Martire.
Quanto al Doria: il Pontefice lo minacciò di morte; gli inibì l’ingresso a Roma e lo accusò di condotta corsara: l’Armata genovese aveva subìto meno perdite di tutto lo schieramento cristiano, con vivo sconcerto generale.

Bibliografia: