Le Grandi Battaglie

Le Guerre ottomano-ungheresi

di Ornella Mariani
Le guerre ottomano-ungheresi
Le guerre ottomano-ungheresi

Nato a Napoli l’8 settembre del 1271 e mortovi il 12 agosto del 1295; primogenito di Carlo II e di Maria Arpad d’Ungheria; Re d’Ungheria, Carlo I Martello fu destinato al trono magiaro per diritto: sua madre era figlia di Stefano V e sorella di Ladislao V, ultimo rappresentante della dinastia arpade, deceduto senza prole. Formalmente eletto Re ed incoronato ad Aix nel 1292, non occupò mai realmente il trono cui sedette Andrea III, di un ramo minore della stessa famiglia.

Il titolo di Carlo, comunque, passò al figlio Caroberto, ma i venti di guerra che scossero l’Ungheria avevano preso a spirare già nella stagione degli Arpadi, quando il Regno si era esteso a Sud e ad Est dei Carpazi favorendo la nascita degli Stati cuscinetto di Tartaria, Serbia e Secondo Impero bulgaro.

Per effetto della crisi dinastica, tuttavia, i Banati di Valacchia, Oltenia, Moldavia e Bosnia si erano emancipati trasformandosi in Despotati autonomi e furono in seguito gli Angioini ad avviare le campagne politiche e militari a rilancio dell’egemonia della corona: il 14 gennaio del 1301, morto Andrea III, Carlo Roberto I cinse la tiara: benché sostenuto da Bonifacio VIII che, in appoggio alla sua consacrazione, inviò il Cardinale Niccolò Boccasini e benché fosse discendente di Stefano V, egli rinunciò alla corona per le pressioni esercitate da Venceslao II di Boemia. Ancorchè non annoverato nella successione ufficiale, costui la mantenne fino al 1305, anno in cui cedette i propri diritti ad Ottone III di Baviera.

L’insurrezione popolare consentì a Carlo di far valere le proprie ragioni a Buda, il 15 giugno del 1309; ma l’incoronazione fu considerata illegittima fino al 20 agosto del 1310 quando, secondo tradizione, egli fu consacrato a Székesfehérvàr dal Primate di Esztergom. Nel triennio successivo, tuttavia, contro il suo insediamento si aprirono vari fronti di rivolta e, solo dopo la vittoria di Rozhanovce del 15 giugno del 1312, egli riuscì ad assumere il controllo del Regno imponendosene Signore e padrone.

Per oltre trent’anni il Sovrano esercitò un potere pressocché assoluto, realizzando riforme monetarie e fiscali; arricchendo le Casse dello Stato; favorendo lo sviluppo dei centri urbani; incoraggiando il commercio; riducendo la criminalità; imponendo tasse a sostegno dell’esercito; rendendo, in definitiva, l’Ungheria una delle prime potenze europee e agganciando la politica estera ad alleanze di tipo dinastico, a partire dal patto di reciproco aiuto con la Polonia contro gli Asburgo e i Boemi, ufficializzato con la Convenzione di Trencin nel 1335 e ratificato nello stesso anno al congresso di Visegrad. In questo contesto, egli ricompose anche le fratture fra Principi dell’Europa centrale; attaccò duramente l’Imperatore Luigi IV ed il suo alleato Alberto d’Austria; vagheggiò l’unione dei Regni di Ungheria e Napoli sotto un solo scettro destinato al figlio Luigi.

Il sogno fu infranto dall’intervento del Papa e della Serenissima, allarmati dal rischio di una incontrollabile egemonia magiara sull’Adriatico; ma Carlo compensò la rinuncia con l’intesa convenuta nel 1339 con il cognato Casimiro III di Polonia che, privo di eredi maschi, designò alla successione polacca proprio Luigi.

In quegli anni, carlo Roberto estese i propri possedimenti e convertì molti Banati in Principati semiautonomi rivelatisi presto fortemente antiungheresi, prima per l’obbligo dell’adesione al Cattolicesimo, in danno della diffusa confessione cristiana greco/ortodossa, e poi per la competizione dinastica con i Serbi e gli Czar bulgari e per le spinte del nazionalismo valacco. Già prima del 1320, la Oltenia –o Valacchia occidentale- era stata considerata dagli Ungheresi parte del Banato di Szörény: ora che il suo Reggente Basarab I mostrò segni di insofferenza, il Re decise di piegarlo alla propria autorità ma, il 9 novembre del 1330, la sua minacciosa marcia fu arrestata da un agguato ricordato come Battaglia di Posada, nella quale si salvò rocambolescamente. L’evento avvìo la lotta per l’indipendenza valacca.

Carlo Roberto morì a Visegrad il 16 luglio del 1342. Il figlio Luigi fu incoronato il successivo 21 ed impiegò gran parte del suo mandato nella guerra a Venezia e a Napoli, estendendo il proprio dominio fino all’Adriatico; assumendo il controllo della Dalmazia, della Bulgaria e di parte della Bosnia; subendo, nel 1346 a Zara, una pesante sconfitta veneta; ponendosi, l’anno successivo, alla testa di una spedizione antipartenopea per vendicare l’assassinio del fratello Andrea, sposo della presunta mandante Giovanna I, Regina di Napoli. Approdato in Italia il 3 novembre, egli sostò a Benevento ai primi del 1348, acclamato dalle Baronie del Regno: il 15, la Sovrana fuggì in Provenza ove fu raggiunta dal secondo marito Luigi di Taranto, mentre una epidemia di peste costringeva il cognato all’abbandono dell’impresa.

Il Regno fu affidato a Funzionari ungheresi contro i quali presto la popolazione insorse: due anni più tardi, il Re magiaro tornò nella penisola e, raggiunta Manfredonia, una volta alle porte di Napoli rinunciò ancora all’invasione di Napoli per la stanchezza delle truppe e si contentò dell’apertura di un processo a carico di Giovanna, presso la Corte avignonese. In cambio promise ad Innocenzo VI di abbattere la resistenza ghibellina di Forlì. L’uxoricida fu mandata assolta in cambio della cessione di Avignone alla Chiesa e le pur fondate pretese di giustizia di Luigi furono definitivamente archiviate.

Egli si dedicò, allora, al conflitto con Venezia per il dominio sulla Dalmazia e, costituita una lega antiveneta, strappò alla Serenissima le ambìte città costiere enfatizzando il suo successo nel 1358 col trattato di Zara e diventando di fatto padrone dell’Adriatico. Il 5 novembre del 1370 si spense Casimiro III di Polonia: il successivo 17 Luigi fu incoronato e completò la Renovatio Imperii avviata da Carlo Roberto imponendosi su Valacchia e Moldavia; alleandosi ai Bosniaci; costringendo nel 1355 i Serbi alla pace e attaccando nel 1365 lo Tzar Ivan Stratsimir di Bulgaria.

Alla sua morte, il 10 settembre del 1382, gli subentrò la figlia Maria contro la quale insorse l’Aristocrazia polacca, insofferente all’unione con l’Ungheria ed alla Reggenza del consorte Sigismondo del Lussemburgo. Al trono, pertanto, ascese Edvige che, dopo due anni di intensi negoziati, fu incoronata Re a Cracovia il 16 novembre del 1384: l’uso maschile del titolo evidenziò l’assunzione per diritto della dignità regia.

Nel perdurare della fase del rafforzamento ungherese sull’area balcanico/danubiana, muovendo dall’Anatolia l’Impero ottomano si proiettò verso l’Europa; contrastò il decadente potere dei Paleologi e minacciò le colonie orientali della Serenissima, occupando fra il 1354 ed il 1369 Gallipoli, Filippopoli ed Adrianopoli. Dopo il 1387, il Sultano Bayezid I sconfisse i Serbo-Bosniaci in Kosovo; aggiogò la più parte dei Balcani e ridusse l'Impero bizantino all'area limitrofa a Costantinopoli: sei anni più tardi, lo Tzar bulgaro perse Nicopoli e suo fratello Ivan divenne Vassallo dei Turchi.

Per arginarne la minaccia, nel 1394, Bonifacio IX bandì una nuova crociata cui aderirono Riccardo II d’ Inghilterra e Carlo VI di Francia, fornendo una tregua alla Guerra dei Cent’Anni: al comando di Sigismondo e del Duca Giovanni di Borgogna e col supporto del Voivoda valacco Mircea il Vecchio, nel 1396 i Crucisegnati marciarono in soccorso di Nicopoli assediata da Bayezid e da Stefan Lazarevic di Serbia. Diecimila Cavalieri borgognoni; un reparto di un migliaio di Inglesi e seimila Armati scesero dal Palatinato, dalla Baviera e da Norimberga: in sessantamila, nel luglio di quell’anno si concentrarono a Vienna in attesa dell’arrivo dei Francesi, partiti da Montbéliard nel giugno precedente. Alla sacra spedizione, benchè di fede ortodossa, aderì anche Mircea I di Valacchia il cui Principato costituiva di fatto la linea di demarcazione fra Cristianesimo ed Islam: nel 1395, egli aveva sconfitto il Sultano nella Battaglia di Rovine e nella Battaglia della Dobrugia.

Pronti allo scontro di Nicopoli, ricostruito dal cronista bavaro Johann Schiltberger, i Crociati affidarono alla Cavalleria leggera di Sigismondo la ricognizione del territorio: Mircea I decise di attaccare da destra; tuttavia, ignari delle attività di campo dei Turchi, i Cavalieri francesi ed ungheresi si opposero alla scelta e Giovanni di Borgogna, rifiutando di cedere il prestigioso ruolo di primo attaccante, marciò sulla parte Sud dell’area passando per Rahova. La città era ben difesa e fortificata ma, privi di macchine d’assedio, i Crociati attesero la prima mossa del nemico: Bayezid, che teneva sotto assedio Costantinopoli, assieme al serbo Stefan Lazarévic si abbatté su Nicopoli alla testa di centomila unità, il 24 settembre. Una volta sul campo, Francesi ed Inglesi occuparono la prima linea e Sigismondo divise le proprie truppe in tre reparti: uno nucleo centrale, di cui assunse il comando; l'ala destra, capeggiata dai Legionari della Transilvania; l’ala sinistra guidata da Mircea di Valacchia.

Per contro, il Sultano pose a protezione della Cavalleria in posizione di avanguardia, retrovie di Picchieri, Arcieri e Giannizzeri, posizionando l’intero corpo serbo dietro le colline. Impartito l’ordine di carica, i Crucisegnati impattarono con le picche e, nel tentativo di abbatterle, finirono sotto il tiro incrociato degli Arcieri; tuttavia, all’affondo della prima linea avversaria opposero una più che strenua resistenza cui si saldò Giovanni di Borgogna: intensificata la manovra, egli obbligò i Turchi alla ritirata. Tuttavia, alla fine dell’inseguimento, si trovò imprevedibilmente a fronte dei reparti serbi nascosti sulle alture e ne fu pesantemente battuto: Jean de Vienne fu ucciso ed egli stesso fu catturato con Enguerrand di Coucy e Jean Le Meingre. Sigismondo accorse in suo aiuto, ma fu costretto a recedere e, in seguito, ad amaramente commentare la condotta francese: ... se mi avessero ascoltato... avevamo uomini in abbondanza per combattere i nostri nemici...

Nel pomeriggio Stefan Lazarévic puntò sulle sguarnite ali ungheresi concludendo la battaglia: il 26 settembre, enfatizzando la vittoria, Bayezid ordinò il massacro di tremila prigionieri per vendicare la strage di Rahova e la perdita di trentacinquemila dei suoi uomini. Carlo VI fu informato della disfatta il giorno di Natale: l’entusiasmo si spense fra le fila europee, benché i combattimenti continuassero in Spagna, nel Mediterraneo e nel Nord dell'Europa. Sconfitte, Inghilterra e Francia ripresero le ostilità, mentre i soli Valacchi seguitavano ad opporsi ai Turchi. Nel 1402, però, la rotta subìta ad Ankara da Bayezid per mano di Tamerlano e la conseguente anarchia insorta nell’Impero ottomano consentirono all'Ungheria di rafforzare i confini meridionali, anche per effetto delle vittorie conseguite dall'alleato Mircea: occupata nel 1404 la Dobrugia, parte dell'ormai sfinito impero bulgaro, egli stava contrastando l'ascesa di Musa Celebi al trono ottomano quando, dopo oltre due lustri di turbolenze, si spense succedendogli il nipote Dan di Valacchia.

Nel 1422, mentre l'avanzata ottomana oltre il Danubio veniva respinta da costui e mentre il Voivoda di Moldavia Alexandru cel Bun spostava l’attenzione internazionale sul Regno di Polonia, il Sultano Murad II succeduto a Maometto I sferrò una dura offensiva contro l'Impero bizantino, assediando Costantinopoli e Tessalonica: le massicce fortificazioni della prima produssero una netta sconfitta dell’aggressore; la seconda, invece, cadde nel 1430. Alla crescente potenza ottomana, Sigismondo tentò d’opporsi affrontando il nuovo Voivoda di Valacchia Alexandru I Aldea ed il successore Vlad II Dracul nell’assedio di Smederevo.
Quando al trono ungherese sedettero l’Imperatore Alberto II e Ladislao III di Polonia, la scena della guerra ai Turchi fu occupata da Jànos Hunyádi, Ban di Severin e Signore di Transilvania; tuttavia, dopo la epocale battaglia di Varna del 1444 e la caduta di Costantinopoli del 1453, l’Europa rinunciò a misurarsi con la potenza ottomana fino al Rinascimento.

Jànos Hunyádi

Dopo la vittoria conseguita nella Battaglia del Kosovo nel 1389 e in quella di Nicopoli il 25 settembre del 1396, gli Ottomani conquistarono la più gran parte dei Balcani e ridussero l’Impero Bizantino alla sola area limitrofa a Costantinopoli, costantemente tenuta in stato d’assedio. La loro ulteriore avanzata, condizionata dal Re d’Ungheria, capo della grande coalizione cristiana, fu causa delle guerre ottomane/ungheresi in esito alle quali il territorio fu devastato e diviso fra Turchi ed Asburgo austriaci.
Tanto non impedì, e per ben dieci lustri, al Sultano Maometto II di essere umiliato dal Voivoda di Transilvania Jànos Hunyádi, Reggente del Regno d’Ungheria; coraggioso Condottiero ed abile Politico.

Il dibattito sulle origini della sua famiglia è ancora controverso: per alcune fonti, sua madre fu Erzsébet di Cincis, figlia di un membro della Nobiltà minore romena; per altre, la magiara Erzsébet Morzsinay. Si ignora, poi, se il padre Vajk fosse di estrazione Kumana o valacca ma è certo che si fosse distinto al servizio dell’ Imperatore Sigismondo d’Ungheria e che ne fosse stato compensato col titolo di Conte e Signoria sul castello di Hunyad, divenendo Vajk Hunyádi.

Detto il Cavaliere Bianco, fin da giovane anche Jànos servì Sigismondo accompagnandolo a Francoforte nel 1410, per la rivendicazione del diritto alla tiara imperiale; aderendo all’Ordine del Drago: una confraternita politico/militare vicina alla Corona ed incaricata della difesa dei confini orientali; distinguendosi nell’azione di contrasto all’eresia hussita nel 1420. Tuttavia, prima di porsi definitivamente agli ordini del Sovrano nell’ assedio di Smeredevo del 1437, aveva militato anche tra i ranghi dell’italiano Filippo Buondelmonte degli Scolari, Signore di Orsova, e si era fatto valere, tra il 1431 ed il 1433, presso il Duca Filippo Maria Visconti.

Per l’attività prestata, Jànos ottenne privilegi, titoli ed anche il ruolo di Consigliere imperiale e consolidò il proprio potere sposando nel 1432 la nobildonna Erzsébet Szilágy, padrona di gran parte della regione del Salaj: dall’unione nacquero i figli László e Mattia.
zNel 1438, Alberto II, successo a Sigismondo, lo designò Ban di Severin a difesa dell’area da infiltrazioni ottomane ma, morto il Sovrano, in danno del legittimo erede Ladislao il Postumo, Hunyádi appoggiò la candidatura di Ladislao III Jagellone di Polonia a Re d’Ungheria onde garantire una guida salda al Regno, indebolito dalle mire dei tutori Elisabetta di Lussemburgo e l’inviso Ulrich di Celje, poi assassinato.

Incoronato nel 1440 col nome di Ulászò I, il Sovrano polacco delegò il potere di controllo dell’Ungheria al Consigliere Zbigniew Olesnicky, Vescovo di Cracovia: in quell’anno, il Cavaliere Bianco soverchiò Murad III in Bosnia; ma l’anno successivo i Turchi lo cacciarono dalla Serbia. Ancora in vantaggio fra il 1442 e 1443 a Nagyszeben, egli sconfisse il Sultano; attaccò la Valacchia e ne depose il Voivoda filoottomano Vlad II Dracul, sostituendolo con Basarab II; sgominò un’altra Armata nemica e, quale Capo delle forze cristiane, incoraggiò la crociata bandita da Eugenio IV impegnandosi alla riconquista dei Balcani. Alla testa delle prime linee, infatti, sfondò la resistenza di Ihtiman; riconquistò Niš; sbaragliò tre potenti eserciti avversari; occupò Sofia e mise in rotta Murad a Snaim.

Nel febbraio del 1444, dopo aver devastato le posizioni turche di Bosnia, Herzegovina, Serbia, Bulgaria ed Albania, i Crociati ripararono a Costantinopoli. Il crescente successo delle operazioni condotte durante la prima fase della spedizione persuase il Despota serbo Durad Brankovic, il Principe albanese Giorgio Kastrioti e Mircea II di Valacchia ad allearsi con Jànos e Ladislao: mentre il Legato papale Giuliano Cesarini sorvegliava i preparativi militari, il preoccupato Sultano mandò a Seghedino Ambasciatori incaricati di proporre una tregua decennale.
Fu il Cardinale a suggerire di simularne l’accoglimento, funzionalmente ad un’azione già preordinata. Nel frattempo, Jànos sottoscrisse i patti anche per il suo Re.
A due giorni dall’intesa convenuta, però, Cesarini apprese che un’Armata navale veneziana puntava sul Bosforo per intralciare i Turchi, ormai decisi a rientrare in Grecia e a raggiungere Murad riparato in Anatolia.
Sollecitato dal Porporato, Ladislao si pose in marcia verso Costantinopoli, ma Brankovic sabotò la missione; persuase Kastrioti a disertarla ed avvertì segretamente Murad che, col sostegno genovese, sbarcò in armi a Varna.

Varna

Il 1° novembre 1444 quarantamila fra Ungheresi, Polacchi, Serbi, Transilvani, Boemi e Crociati sfidarono sessantamila Ottomani.
A sera, in campo si contarono circa ventimila morti fra i due schieramenti.

Quella battaglia fu la fase culminante della Crociata e l’epilogo di eventi verificatisi anni prima: a seguito delle intese raggiunte nei Concili di Basilea, Ferrara e Firenze, nel 1438 il Basileus bizantino Giovanni VIII Paleologo aveva accettato di superare lo Scisma proprio per ottenere dai Potentati cristiani europei ogni possibile aiuto nella lotta al minaccioso espansionismo turco. Nel 1443, e per tutelare i Bizantini e per difendere l’Ungheria cui tre anni prima era stata sottratta Belgrado, aveva sollecitato il continente alla sacra spedizione e formato un’ampia coalizione: i ripetuti successi cristiani, in particolare quello inizialmente conseguito da Brankovic, che aveva liberato le bulgare Nissa e Sofia, avevano costretto i Turchi alla ritirata. Al Sultano, impegnato sui fronti di Anatolia, Albania, Morea, non restò che accettare i trattati di Adrianopoli: una tregua decennale durante la quale s’impegnava a non invadere alcun Paese cristiano e a restituire alcuni territori all'Ungheria e alla Serbia. Non soddisfatto il Papa, ad avviso del quale Murad avrebbe dovuto rinunciare all’intera area balcanica, invalidò i patti e persuase l’Ungheria a riprendere la guerra, impegnando anche la Serenissima che, per dividere l’Impero ottomano, schierò la potente Marina tra i Balcani e l’Asia Minore.
Murad, allora, si rivolse alla Repubblica genovese.

Il 10 novembre del 1444, malgrado l’inferiorità numerica, Hunyádi alla testa di metà dell’esercito ungherese dette scacco ai Turchi; ma il suo vantaggio fu vanificato dal giovane Ladislao che, alla guida della retroguardia, si gettò nella mischia sottovalutando la potenza d’urto dei Giannizzeri e ne fu massacrato. Cadde, con lui, anche il Cardinale Cesarini.
I Crociati superstiti ripararono oltre il Danubio, sotto il comando di Mircea II di Valacchia, e Jànos tentò di sottrarsi rocambolescamente alla cattura finchè non cadde in un agguato tesogli da Vlad II Dracul, che lo liberò previo pagamento dell’ingente riscatto corrisposto dall’Aristocrazia magiara.

La battaglia, naturalmente, ebbe come conseguenze politiche il mantenimento della regione balcanica da parte dei Turchi e la sospensione delle clausole di ogni precedente negoziato. Il Basileus, che meglio più di tutti si era impegnato per il buona esito della spedizione, dovette piegarsi al Sultano e diventarne Vassallo.
Per effetto della morte di Ladislao la Nobiltà ungherese, intanto, elesse cinque Capitani e gli affidò il comando della Nazione assegnando a Jànos il controllo della Transilvania e delle terre irrigate dal Tibisco. L’Ungheria, tuttavia, scivolò nell’anarchia e fu necessario individuare un Reggente che governasse per conto del minore Ladislao il Postumo: la scelta ricadde ancora su Hunyádi che, investito del ruolo il 5 giugno del 1446, marciò contro l’Imperatore Federico III, del quale il piccolo erede era prigioniero; pose a sacco Stiria, Carinzia e Carniola e minacciò Vienna, finchè pervenne ad una tregua di due anni.

Nel 1447, Jànos riportò la Valacchia in orbita ungherese decretando la decapitazione del Voivoda Vlad Dracul e facendone seppellire vivo il figlio Mircea II; poi, sconfitti i Draculesti, insediò sul trono Vladislav II. L’anno successivo, riprese la campagna contro i Turchi ricevendo il titolo di Principe da Niccolò V. Infine, marciò sulla Moldavia e vi restaurò il potere del Voivoda Petru II, dopo avere occupato e fortificato il porto di Chilia.
Nel giugno di quell’anno, Murad II attaccò contemporaneamente proprio questa località e Costantinopoli, ma fu sconfitto: in settembre, gli Ungheresi varcarono il Danubio e puntarono verso Sud per riunirsi a Kastrioti, mentre Mihály Szilágyi batteva i Turchi nella valacca Vidin.

Ancora una volta Brankovic spiccò per slealtà: rivelata la presenza albanese, favorì la sconfitta di Jànos nella seconda battaglia del Kosovo il 18 ottobre del 1448; lo catturò e lo deportò nelle segrete di Smederevo.
Nel 1450, liberato dai compatrioti, egli riaprì le trattative con Federico III per la libertà del giovane Ladislao; ma il mancato accordo consentì all’Aristocrazia capeggiata dal Conte di Celje di accusarlo di cospirazione funzionale al mantenimento del potere.
Egli, allora, abbandonò anche il ruolo di Reggente; tuttavia, nel 1453, Ladislao il Postumo si insediò e come primo atto, riscattandone l’immagine, lo nominò Conte di Beszterce-Naszód e Capitano Generale del Regno, non trascurando di farne giustiziare il figlio per vendicare la morte dello zio tutore.

La reazione violentissima dell’Aristocrazia insorta in difesa di Jànos, già Voivoda di Transilvania e Signore di Belgrado, costrinse il Re alla fuga. In procinto di sposare Maddalena, figlia di Carlo VII di Francia, egli era sulla via di Praga quando morì in circostanze ancora misteriose: con lui si estinse la linea asburgico/albertina.
Nel 1453, padrone di Costantinopoli, Maometto II puntò all’Ungheria progettando di penetrare in Europa attraverso Belgrado, che assediò. La città fu però soccorsa da Jànos che la approvvigionò a proprie spese; vi insediò un presidio comandato dal germano Mihály e dal figlio László; reclutò uomini freschi ed armò duecento navi, mentre il Frate francescano Giovanni da Capestrano raccoglieva adesioni crociate nel basso Popolo.

Il 14 luglio del 1456 l’Armata navale ottomana fu distrutta e il 21 successivo l’esercito fu respinto a Rumelia da Szilágyi, che favorì l’attività di attacco ungherese: a margine di un cruento e breve scontro, il Sultano fuggì. L’11 agosto, però, aggredito dalla peste, Jànos si spense.
Fu sepolto nella cattedrale cattolica transilvana di Alba Iulia e la sua statua domina la Piazza degli Eroi di Budapest.
Suo figlio Mattìa Corvino ascese al trono nel 1458 e governò fino al 1490.
Emulo del padre, contrastò i Turchi col supporto dell’abile Voivoda di Moldavia Stefan III.
Il crescente potere del Regno di Polonia, intanto, spinse la Moldavia a chiedere l’appoggio di Bayezid II per mantenere l’indipendenza.

Mátyás Hunyádi o Mattìa Corvino

Nato a Kolozsvár verso il 1440 e morto a Vienna nel 1490, ascese al trono nel 1457, mentre era ancora a Praga, prigioniero del Re di Boemia Giorgio di Podebrady. Finalmente tornato in una Ungheria indebolita da contrasti oligarchici e sostenuto dallo zio materno Michele Szilàgyi nella lotta alla Nobiltà aizzata da Federico III e dagli Ussiti penetrati nei territori del Nord, Corvino visse i primi anni nella contesa dinastica col Boemo; incaricò dell’azione antiturca Vlad III di Valacchia; rimosse le turbolenze interne e, consolidata la sicurezza e l’ordine attraverso adeguate riforme sociali ed economiche, si dette alla espulsione dei nemici dalle Province meridionali: dopo averli sconfitti, nel dicembre del 1463 occupò la fortezza bosniaca di Jaice e, nell’anno successivo, appoggiato da Pio II intraprese la campagna santa contro Maometto II.

Nel 1468, previa promessa successoria da parte di Federico III e di Papa Paolo II, riprese l’attività di contrasto antiussita e guerreggiò ancora con Giorgio di Podebrady finché, il 3 maggio del 1469, penetrato in Moravia, fu eletto Re di Boemia dai Cattolici e mosse guerra anche ai Polacchi, dopo che il rivale aveva designato al trono Ladislao, figlio di Casimiro IV di Polonia.
Austria, Boemia, Valacchia e Polonia si coalizzarono allora contro l’Ungheria: Corvino annientò il fronte ostile attorno a Breslavia; salvò il Regno dall’invasione; col Trattato di Olomouc del 1478, mantenne la titolarità dei territori boemi già occupati e nel 1479, nella battaglia di Kenyérmezei affrontò Maometto II riassumendo il pieno controllo dei territori danubiani.
Aspirando alla tiara imperiale si armò, poi, contro gli Asburgo e nelle quattro spedizioni comprese fra il 1477 ed il 1485 occupò la Stiria e l’Austria meridionale, inoltrandosi fino a Vienna. Nel 1481, infine, intervenne contro le incursioni condotte dai Turchi in Italia, riconquistando Otranto, occupata l’anno precedente; minacciando Istanbul e inserendosi nella contrapposizione tra Bayezid III e Cem, figli del vecchio Sultano.

Il successo della campagna, considerato come un abbandono del conflitto antiottomano, gli procurò la dura opposizione del Primate di Strigonia Giovanni Vitéz ed allarmò gli Elettori che, nel 1486, si affrettarono ad eleggere al soglio dell’Impero Massimiliano, figlio di Federico III.
La comune esigenza di contrastare le velleità turche favorì, tuttavia, l’avvicinamento fra gli Asburgo e Mátyás Hunyádi che, nel 1490, improvvisamente morì.
Per il talento militare, diplomatico, politico, legislativo e per la cultura e la sensibilità di Mecenate, egli divenne una delle più attraenti figure del Rinascimento: alla sua Corte di Buda conversero le più prestigiose espressioni dell’Arte e, nella grande Biblioteca Corvina, furono raccolti moltissimi e lussuosi codici realizzati a mano da Copisti italiani. Proprio con l’Italia egli ebbe stretti rapporti per effetto delle nozze con Beatrice, figlia del Re di Napoli Ferdinando d’Aragona.
Gli successe Ladislao II di Boemia, della famiglia degli Jagellone, con l’intento di istituire un solido fronte ungherese-boemo-polacco che contenesse le ulteriori aggressioni ottomane.

Bibliografia: