Personaggi

Ottone I il Grande

di Ornella Mariani
Ottone I il Grande
Ottone I il Grande

Carlo Magno aveva rivitalizzato l’ideale dell’Impero Romano d’Occidente, ma furono gli Ottoni a rendere complementari il titolo imperiale e la nazionalità tedesca.

Essi furono anche i Primi ad esigere prerogative sovrane rispetto al Papa, la cui legittimità elettiva fondava sul previo assenso della Corona, titolare anche del diritto di Investitura dei  Vescovi/Conti: al Primate fu concessa solo l’autonomia sulle vantate proprietà e donazioni acquisite nel tempo.

In tal modo, il vecchio rapporto collaborativo instaurato dal Sovrano franco fu sovvertito: il Pontefice divenne suddito e il senso del Sacro Romano Impero germanico si allontanò dall’ideale carolino, non solo per la diversa territorialità e per il processo di germanizzazione, ma anche per lo stato di subordinazione imposto alla Chiesa.

Non era un caso: nel X secolo, essa attraversava una devastante crisi che, nell’ arco di tredici lustri, aveva avvicendato ben venti Papi la più parte dei quali era deceduta di morte violenta e le cui elezioni erano state esito di violente contrapposizioni fra famiglie dell’Aristocrazia capitolina.

Dominavano Roma, allora, i Tuscolo di Teofilatto, della moglie Teodora e della figlia Marozia che, al soglio, aveva preteso la nomina del figlio Giovanni XI, ancora nello stato laicale.

La turbolenta stagione, nota come Pornocrazia, cessò nel 932 quando un altro rampollo della avvenente Matrona romana: il ventenne Alberico, prese il potere locale e defraudò il fratello di ogni autorità imperversando nella città per circa vent’anni.

Nel 954 in successione di Agapito II, egli impose alla Nobiltà e al Clero l’elezione del figlio Ottaviano che, col nome di Giovanni XII, consacrò Ottone I in San Pietro il 2 febbraio del 962.

Il successivo 13, il Sovrano emanò il Privilegium Othonis.

Cominciava la vicenda del più grande Imperatore del Medio Evo, chiamato alla guida del Regno germanico in un periodo di grandi trasformazioni politiche.

Di contro alla essenzialità carolina, segnando una svolta fondamentale nello sviluppo sociale e politico della Germania e dell’Italia, egli privilegiò la collegialità delle grandi Assemblee; i legami di parentela; la ritualità religiosa nelle incoronazioni, nei funerali, nelle riconciliazioni, col precipuo intento di conferire, attraverso ogni atto pubblico un significato ed un valore simbolico al potere; il ruolo delle Donne, ritenendole cruciali alla costruzione delle relazioni umane in quanto Spose, Madri e Tutrici di figli minori.

Duca di Sassonia; Re di Germania; Re d’Italia; Imperatore del Sacro Romano Impero; figlio di Enrico l’Uccellatore e di Matilda di Ringelheim; sposo in prime nozze di Edith del Wessex ed in seconde di Adelaide di Borgogna, lo Statista che conferì unità e dignità nazionale alle tribù germaniche e che, stando ad Ottone di Frisinga, fondò in concreto il Francorum Regnum Orientalum, quod Teutonicum dicitur e, con esso il saldo legame fra Germania ed Italia, nacque a Wallhausen il 23 novembre del 912.

Fino alla designazione ereditaria, che il padre espresse nella Dieta di Erfurt one impose ai Grandi del Regno il giuramento di fedeltà, Ottone si tenne estraneo alla attività politica avendo una visione del potere assai diversa dalla laica concezione di sovranità paterna.

Altrettanto saggio e timorato di Dio, nella Dieta di Corte del 929 aveva infranto la tradizione carolina della divisione dei beni fra figli e designato Ottone erede unico, escludendo la prole minore e, avviato Brunone alla carriera ecclesiale, di fatto istituendo la norma della primogenitura.

Nel 934 aveva piegato gli Ungari e aggiogato i Danesi, consegnandosi alla Storia come Condottiero e Pacificatore dell’Europa.

Aveva ispirato la propria condotta politica alla fede nella Sacra Lancia donatagli da Rodolfo II dell’Alta Borgogna, che l’aveva ricevuta dai Grandi d’Italia quando ne era stato proclamato Re, in opposizione a Berengario.

Aveva ereditato gli strascichi della dissoluzione carolina consumatasi nel Campo della Vergogna di Lügenfeld a Colmar, ove la spartizione dinastica aveva tracciato quelle frontiere poi difese da Carlo il Grosso e ancora da Arnolfo di Carinzia, la cui fragile successione aveva favorito le grandi scorrerie ungare. Ad esse avevano posto argine nel 911 i Grandi che, a Forchheim, separate definitivamente la Monarchia carolingia e la Monarchia elettiva germanica, elessero il magnanimo Corrado I, della famiglia franca dei Corradiani la cui influenza si estendeva su Turingia, Lotharingia e Basso Reno.

Sul letto di morte, nel 918, rinunciando ai diritti degli eredi, a suo avviso incapaci di far fronte alle pressioni barbare, egli indicò alla propria successione l’antico rivale Enrico: il Sovrano che rifiutò la consacrazione.

Le ipotesi riferite alla rinuncia dell’unzione sono ancora oggi ragione di dibattito storico: desiderava ridurre l'influenza ecclesiale sulla Corona o recidere ogni nesso con la consuetudine carolina di una Monarchia eccessivamente incline alle gerarchie religiose o per godere dell’appoggio ducale, restando nella condizione di Primus inter Pares?

Di fatto, pur non avendolo mai chiamato alla condivisione politica, e pur avendo avuto dalle prime nozze con Hatheburg di Sassonia il figlio Thankmar, privilegiò la prole maschia nata dal secondo matrimonio con Matilde di Ringelheim: Ottone, Enrico, Bruno conferendo all’Uno l’eredità reale, all’Altro il Ducato di Baviera ed avviando il Terzo alla carriera ecclesiale.

Fu una provvida e lungimirante decisione: quel figlio divenne l’orgoglio della Germania e la sua intensa attività travalicò il Medio Evo, aprendo quella galleria di Sovrani eccezionali nella quale campeggiano anche le figure di Enrico IV di Franconia, di Federico I e Federico II di Hohenstaufen.

Ad oltre mille anni di distanza, egli espone la propria vicenda umana e politica al giudizio della Posterità, restando fisso ad un immaginario collettivo: Ottone I il Grande occupò il sogno dei suoi Contemporanei che, omologandolo al Sigfrido della mitologia norrena e germanica, ne coltivarono la grata memoria indicandolo Fondatore della Patria ed esaltandone virtù che, travalicando il tempo, dal territorio magico della Saga dei Völsungar e del Poema dei Nibelungenlied, lo spostarono nel Walhalla ponendolo nel Pantheon degli Eroi germanici.

Un Einheriar, dunque; o più semplicemente un Uomo esaltato da grandi trionfi e straziato da grandi sofferenze: un Uomo che si sentì Re per sola grazia di Dio; un Uomo di Fede più che di potere; un Uomo che, incarnando l’orgoglio teutonico, si sentì Profeta di Dio e si considerò, al pari dei Sovrani germanici, non solo erede del soglio imperiale romano, ma soprattutto successore dei Sovrani biblici: non a caso la ottagona corona dell’Impero riporta le effigi di Davide, Salomone ed Ezechia; un Uomo che amò la famiglia, che coltivò comunque passioni: la caccia, gli scacchi, i tornei e che, sempre incline al perdono, fu sempre generoso e pio.

La sua vicenda è testimoniata dal Cronista ufficiale Vitichindo di Corvay dal quale si apprende la prima esperienza di paternità, contratta a sedici anni  con una misteriosa Slava dalla quale nacque Guglielmo, poi avviato alla carriera ecclesiale.

Dalla cronaca della vita e delle attività dell’Imperatore, emerge una hybris pari  all’amarezza di un vissuto scosso da tradimenti: del fratellastro, del fratello, del figlio, del genero, del cognato, come provano le parole pronunciate nel giugno del 954 alla Dieta di Langenzenn: … Potrei sopportare che l’ira di mio figlio e degli altri congiurati affliggesse soltanto me e non creasse disordine per l’intero Popolo della Cristianità. Potrei persino sopportare il fatto che abbiano attaccato i miei castelli come banditi e mi abbiano strappato intere regioni, se solo non si fossero saziati anche del sangue dei miei parenti e dei miei compagni più cari. Vedete, io sto seduto qui senza figli, dato che ho in mio figlio il nemico più terribile… tuttavia anche questo si potrebbe in un modo o nell’altro sopportare, se in questa discordia non venissero coinvolti i nemici di Dio e dell’uomo. Hanno appena devastato il mio Paese, fatto prigioniero o ucciso il mio Popolo, distrutto i castelli, bruciato le chiese, ucciso i Preti, le strade grondano ancora di sangue, carichi del mio oro e del mio argento, con cui io arricchii figlio e genero, i nemici di Cristo ritornano nel loro Paese. Quali altre malvagità, quali altre infedeltà manchino ancora, non sono in grado di vedere….

Il 7 agosto del 936 Ottone successe al padre alla guida del Ducato e al trono teutonico: fu incoronato e consacrato Rex et Sacerdos in Aquisgrana, volendo in quella sede indicare l’intento di ricollegarsi alla tradizione politica carolina.

Creati due Margraviati che affidò ai suoi fedelissimi amici Hermann Billung e il Conte Gero, pose come primo obiettivo del suo programma il consolidamento della Dinastia, da attuarsi attraverso un piano di intensa collaborazione col Clero e con la concessione feudale a personaggi devoti alla Corona. A tal fine, trasferì molti poteri pubblici ai Vescovi, cui concesse varie immunità, proteggendoli dalle pressioni dell’Aristocrazia locale, mentre legò i Duchi in vassallaggio, già nel corso della cerimonia di incoronazione.

Per consolidare l’unità statuale, accortamente orientò la propria Politica nel perseguimento di tre obiettivi: rendere la trasmissività del potere centrale dinastica e non elettiva; contenere la disgregazione feudale con l’Investitura di Ecclesiastici, così garantendosi il controllo della Chiesa contro la pretesa delle Aristocrazie locali di renderle ereditarie: l’affidamento delle circoscrizioni comitali germaniche a membri dell'Alto Clero locale selezionati tra persone fedeli, eludendo la privatizzazione delle cariche e conferendogli il duplice ruolo laico ed ecclesiale, per la ovvia mancanza di eredi legittimi, riportava alla morte l’ufficio pubblico nelle potestà della Corona; aprire relazioni diplomatiche con l’Impero bizantino, per frenarne l'egemonia in Italia: in questa prospettiva avrebbe favorito le nozze del figlio omonimo con la Principessa orientale Teofane, pur non ottenendo che il Basileus Romano II lo riconoscesse suo pari e gli trasferisse il dominio nelle aree della Penisola.

Nell’estate del 938, un clima di intrighi e congiure pervase il Regno: defraudato dell’eredità paterna, il Principe Thankmar, fratellastro di Ottone, sodalizzò col Duca franco Eberardo e con Wichmann Billung ed assediò la fortezza di Belecke prendendo ostaggio il germano minore Enrico.

Quando apprese dell’arrivo del Sovrano, il Ribelle riparò in chiesa; depose le armi sull’altare maggiore e rinunciò agli asseriti diritti successori ma, a sorpresa, fu mortalmente trafitto da un colpo di lancia del Cavaliere Mainica.

Al Duca sodale non restò che consegnare il giovane Prigioniero.

Maturavano già i germi di un nuovo drammatico evento: se Thankmar si era limitato a rivendicare i propri beni, diverso peso assunse la rivalità del germano minore Enrico che, nella pretesa del trono e con la complicità della Regina/ Madre Matilde, invitò ad un convivium a Saalfeld un folto gruppo di Oppositori sassoni, l’Arcivescovo Federico di Magonza, il Duca Eberardo di Franconia ed il potente Duca Gisilberto di Lorena, che aveva sposato sua sorella Gerberga

La grande ribellione impegnò il biennio 939/941.

I Congiurati marciarono contro Ottone, fronteggiandolo a Birten ove l’esiguità delle truppe reali lasciò presagire un massacro.

Fu allora che, a fronte della imponenza delle forze avversarie, il Sovrano scese dal cavallo; piantò la sacra lancia; si inginocchiò e pregò quel Dio nel cui nome era stato consacrato.

E fu il miracolo!.

Lungi dal battersi, i Lorenesi si dettero ad una fuga scomposta e, da allora, pur procedendo fra tradimenti e ostilità, Ottone ebbe in sé la certezza della propria  intangibilità dovuta alla protezione divina.

Enrico resistette arroccandosi a Merseburgo, che fu posta sotto assedio e ricorse a Luigi IV d’Oltremare cui, col Duca Giselberto, rese omaggio.

Ottone agì d’impeto: raggiunto il Reno, accerchiò i Ribelli sotto Liegi e devastò tutta l’area limitrofa, prima di stringere un patto di solidarietà con Ugo di Francia, con Héribert di Vermandois, con Guglielmo di Normandia e con Arnolfo di Fiandra.

Nell’agosto del 939, il Duca Eberardo di Franconia, a sostegno di Enrico occupò l’alsaziana Breïsach; tuttavia il Primate Federico di Magonza, offrendosi come mediatore, strinse un pactum dal vago contenuto che Ottone respinse con fermezza, esigendo la sottomissione completa degli Insorti.

E fu lo scontro.

Eberardo cadde in campo; Gisilberto fuggì percorrendo con una chiatta le acque del Reno che lo travolsero; Enrico ricorse alla protezione della sorella Gerberga che, ormai vedova, gli negò asilo: la Diplomazia aveva soverchiato le armi, poiché ella aveva già sposato Luigi IV e si accingeva ad essere consacrata Regina di Francia a Reims.

Privo di vie d’uscita, nel 940 il transfuga si sottomise e, ottenuto il perdono, fu tenuto in onorevole custodia prima di essere infeudato della Lotharingia.

E tuttavia, nel 941 insorse ancora, progettando di eliminare Ottone: ancora una volta, i complici furono giustiziati ed egli, prosternatosi ai piedi del fratello e con indosso il saio da penitente, fu perdonato e infeudato della Baviera il cui Duca Arnolfo era deceduto e del quale egli sposò la figlia Giuditta.

Nello stesso periodo, avocato a sé il diretto controllo della Franconia, il Sovrano confermò il governo della Lorena al genero Corrado il Rosso, che aveva impalmato la figlia Liudgard, e la Svevia al figlio Liudolfo, designandolo alla successione: aveva, invece, già avviato alla carriera ecclesiastica il primogenito illegittimo Guglielmo mentre, nel luglio del939, insuccessione a Leone VII, era asceso al soglio pietrino Stefano VIII, già Cardinale nella basilica dei Santi Silvestro e Martino ai Monti.

Nel turbolento periodo compreso fra l’incoronazione e la sottomissione definitiva di Enrico, sottratta alla Francia la Lotharingia, Ottone pose la Borgogna sotto influenza imperiale proponendosi Arbitro nella querelle fra Carolingi e Robertingi ed assumendo la tutela del giovane Re Corrado, defraudato del potere da Ugo di Provenza.

Nel 941, accolse l’omaggio del Marchese Berengario d’Ivrea, rivale di Ugo d’Italia che, nemico dell’Impero, coltivava progetti espansionistici e che, intimidito dalla montante potenza del Sovrano, si ritirò in Provenza lasciando il trono al figlio Lotario.

Nel 946, condusse una spedizione in Francia, in difesa di Luigi IV dalle sopraffazioni di Ugo il Grande e, assicurandosi il definitivo controllo della Lorena, consolidò i rapporti con entrambi offrendogli in matrimonio le due sorelle: poi, a supporto della campagna di espansione verso Est e di colonizzazione ed evangelizzazione delle locali Genti pagane, impegnò i Margravi Gero ed Hermann Billung: a parte le controllabili turbolenze interne, il problema di Ottone I stette nella potenza acquisita dai Grandi Vassalli contro i quali chiese ed ottenne l’appoggio ecclesiale badando al consolidamento dell’unità territoriale a difendersi da incursioni normanne, slave e magiare.

Il 26 gennaio dello stesso 946 era restato vedovo di Edith e, nel giorno della morte della Sovrana, volle formalizzare la successione del sedicenne figlio Liudolfo e della moglie Ida.

Dall’Italia gli giungevano notizie di disordini: proprio Berengario aveva gettato il Regno in una intollerabile incertezza, rendendolo oggetto di conflitti ed aspirazioni tra Grandi Signori feudali italiani, tedeschi e borgognoni.

Lotario, che non sembrava all’altezza del ruolo, si spense all’improvviso il 22 novembre del 950 lasciando la vulnerabile giovane vedova Adelaide che Berengario pretendeva sposa del figlio Adalberto e che, a fronte del fermo rifiuto, aveva fatto imprigionare. Il fondato sospetto che egli stesso avesse fatto avvelenare il Sovrano per ipotecare il trono attraverso quelle nozze negate, accese di sdegno i Sudditi: appellandosi al precedente della Regina Teodolinda, che aveva conservato la regalità pur nello stato vedovile, essi ne esigevano la liberazione salutandola come Reggente.

L’usurpazione della corona; la violenza esercitata contro la Regina e il tradimento dei patti di vassallaggio del Marchese spiacquero ad Ottone I che, anche sollecitato dal Papa, nell’estate del 951, preceduto dal figlio Liudolfo alla testa di contingenti alemanni, scese in Italia con un folto seguito: i due fratelli Enrico e Brunone, il genero Corrado di Lorena e i Vescovi di Magonza, Colonia e Treviri.

Accolto con grande entusiasmo si fermò a Trento e a Verona e il 23 settembre del 951 entrò in Pavia, donde un Berengario sempre più isolato era fuggito riparando nella Marca di Ivrea.

Moltissimi Signori italiani vennero a rendere omaggio e ad assistere alla sua incoronazione a Re d’Italia, mentre i Legati incontravano la Regina Adelaide cui, chiedevano la mano ed offrivano sontuosi doni: ella accettò.

Ragione reale di quella campagna risiedeva in un piano di espansione: la Germania era ormai il baricentro della potenza cristiana e il grandioso obiettivo di annetterle il Regno italico o farne uno Stato vassallo; di vestirsi della dignità imperiale; di godere del favore dei Nemici di Berengario, grazie al matrimonio con la ventenne e bellissima Regina Adelaide era a portata di mano.

Le nozze, alle quali si presentò scortata da Enrico di Baviera, furono officiate nell’autunno con grande magnificenza: da quel momento Ottone fu Re dei Franchi e degli Italici.

In Liudolfo, intanto, covava il germe del sospetto e del risentimento: se da quel connubio fosse nata prole, la sua posizione ereditaria sarebbe stata certamente riconsiderata e, nella migliore delle ipotesi, se il padre gli avesse mantenuto la designazione al trono, avrebbe dovuto comunque dividere il territorio con germani scomodi.

Un’Ambasceria composta dai Primati Hartbert di Coira e Federico di Magonza, intanto, si portava a Roma per annunciare a Papa Agapito l’imminente arrivo del Sovrano e per vagliare le intenzioni del potentissimo e ostile Princeps Alberico, propugnatore d’una intransigente Politica di indipendenza minacciata, ora, dalle mire germaniche.

La Delegazione neppure fu ricevuta, in quella Roma deplorabilis governata dal figlio della corrotta Marozia.

Ottone fu prudente: incassò lo smacco non contando sulla fedeltà dei sempre ambigui e vacillanti Signori italiani, sui quali incombeva ancora la minacciosa e ingombrante presenza di Berengario e della moglie Willa e, peraltro, Liudolfo aveva abbandonato Pavia; era rientrato in Germania; si era dato ad un’attività sovversiva intollerabile, sodalizzando con gli Ungari e con Corrado di Lorena e scegliendo Saalfeld come Quartier Generale complottista: la medesima località nella quale lo zio Enrico aveva consumato il primo tradimento!

La partita con il Vassallo ribelle fu rimandata a tempi migliori: insediato a Pavia un presidio armato comandato da Corrado di Lorena, nel febbraio del 952 il convoglio reale riattraversò i confini.

Ottone festeggiò la Pasqua a Magdeburgo con i suoi Familiari quando, a sorpresa, fu raggiunto da Corrado di Lorena che, assuntasi l’iniziativa di negoziare con Berengario, lo aveva convinto a sottomettersi e lo aveva portato seco in Germania con il figlio Adalberto.

Contrariato, il Sovrano affidò la soluzione della questione ad un’Assemblea dei Grandi, dopo aver umiliato il Traditore con tre giorni di attesa.

L’assise si tenne ad Augusta nell'agosto del 952 alla presenza di molti Vescovi/Conti della Germania e di gran parte dell’Episcopato italiano: i Primati Manasse di Milano e Pietro di Ravenna e i Vescovi di Pavia, Brescia, Como, Tortona, Piacenza, Parma, Modena, Reggio ed Acqui.

In quella sede si decise che le Marche di Verona ed Aquileia fossero accorpate al Ducato di Baviera e che il resto del Regno italico fosse concesso in vassallaggio a Berengario II e ad Adalberto, in cambio dell’omaggio feudale; ma, per affrancarsi da ulteriori colpi di testa di costoro, Ottone li defraudò dei Ducati cruciali di Verona e Aquileia che infeudò al proprio fratello Enrico e istituì la Marca/cuscinetto di Osterreich.

Il Marchese ed il figlio rinnovarono l’atto di vassallaggio ponendo le mani nelle mani del Sovrano; ricevettero uno scettro d’oro e furono infeudati del viceRegno d’Italia.

Alla fine del 952 la Regina Adelaide mise al mondo Ottone II.

L’evento dette la stura ad una serie di veleni: i timori di Liudolfo erano fondati, poiché circolava voce che egli, pur già designato erede nel 946, sarebbe stato presto spodestato del diritto alla successione.

Confortato dal cognato Corrado e dal Primate Federico di Magonza, nella primavera del 953 trasformò la ribellione in guerra aperta.

Non ancora consapevole della piega assunta dagli eventi, assieme all’Abate Hadamar di Fulda e dei fratelli Enrico e Brunone, in gennaio il Sovrano si era recato ad Erstein per una Dieta con i Grandi dell’area.

Conclusi i lavori, proseguì per Magonza che ospitava i Ribelli, ma ne trovò sbarrate le porte: dopo una lunga attesa, gli si presentarono il figlio ed il genero con una finta sottomissione ed egli proseguì via fiume per Colonia, puntando a Dortmund per salutare la madre e festeggiarvi la Pasqua. Apprese, invece, l’essere in atto una ramificata congiura e ripiegò su Fritzlar ove tenne Dieta ed ove chiamò i Cospiratori a giustificarsi e a rivelare i nomi dei fiancheggiatori.

Essi non si presentarono e fu il Principe Enrico a stigmatizzarne la condotta chiedendone la punizione.

Fu ordinato l’assedio di Magonza: Vitichindo riferì che la lotta combattuta sotto le mura fu peggiore di una guerra civile e più dolorosa di ogni disgrazia.

Solo a fine agosto, nell’accampamento reale si presentarono Liudolfo e Corrado che, implorata pietà, chiesero invano l’impunità dei Sostenitori.

Nel giugno del 954 il Sovrano tenne Dieta a Langenzenn, manifestandovi tutta l’ amarezza di uomo, di Padre e di Re.

Liudolfo, invece, fuggì a Ratisbona col Conte palatino Arnolfo, mentre nel regno divampava la guerra civile: Franconia, Baviera, Svevia, Sassonia, Lorena erano in fermento.

Parallelamente giungevano le peggiori notizie anche dall’Italia.

Sottraendosi ancora una volta ai doveri vassallatici, Berengario si era dato a terribili rappresaglie contro quanti, a suo avviso, lo avevano tradito: cedette la Cattedra di Manasse a Valperto; defraudò il Vescovo di Novara del possesso dell'isola di San Giulio; assediò Azzo di Canossa; perseguitò il Cronista Liutprando, Diacono della chiesa pavese.

Ottone era solo.

L’assedio della città bavara fu rigorosissimo e si concluse con un incendio: un disperato Liudolfo, col cilicio e a piedi scalzi chiese il perdono.

Gli fu concesso.

L’ordine fu ripristinato su tutto il territorio del Regno: nel dicembre di quel 954, alla Dieta di Arnstedt Guglielmo, primogenito del Sovrano, divenne Primate di Magonza mentre il Conte Gero liquidava gli ultimi focolai di resistenza.

In maggio del 955, Ottone tornò in Sassonia: mancava al suo prestigio la sola definizione della partita con gli Ungari la cui pressione ai confini si era fatta insopportabile. In centomila avevano invaso la Germania meridionale ed avevano cinto d’assedio Augusta, strenuamente quanto vanamente difesa dal Vescovo Uldarico.

Il 10 agosto del 955, lungo le acque della Lech il formidabile Esercito reale diviso in otto legioni si posizionò, deciso a sfidare in campo aperto il Gyula Bulcsù ed i suoi Generali Lehel e Sùr.

La prima battaglia nazionale tedesca si svolse in tre fasi: l’11 sera, stretti tra Tedeschi e Boemi, gli Invasori furono sterminati. Lasciò la vita in campo anche Corrado di Lorena, i cui beni furono assorbiti dalla Corona con enormi vantaggi territoriali.

L'Europa occidentale era finalmente affrancata dalla minaccia dei Barbari che, per oltre mezzo secolo, avevano afflitto le Genti germaniche.

Analoga sorte fu riservata agli Slavi dell'Elba, decimati il 16 ottobre successivo presso il fiume Recknitz e, a favore della campagna di evangelizzazione ad essi rivolta, furono istituiti sulla frontiera orientale i Vescovati di Merseburgo e di Magdeburgo per la cui apertura formale, occorrendo all’iniziativa l’assenso del Papa, Ottone inviò a Roma il Legato Abate Ademaro di Fulda che guadagnò al Regno la gratitudine della Curia romana.

La due esaltanti vittorie furono salutate da manifestazioni di traboccante giubilo dai Germanici, che indicarono nel Sovrano il Padre della Patria.

Nel frattempo, a Roma era morto il potente Alberico, dopo aver riscosso il giuramento di Agapito di indicare alla successione pietrina il figlio sedicenne Ottaviano.

L’8 novembre di quell’anno, però, anche il Papa mancò e l’Aristocrazia capitolina in onore alla parola data, elevò al trono pontificale il giovane e ambizioso Giovanni XII.

Egli guardò subito alla sottomissione di Benevento e, alleatosi con il Marchese Uberto di Toscana e col Marchese Teobaldo di Spoleto e Camerino, fece assediare Capua che il Duca Pandolfo Testa di Ferro difese fino allo stremo, convenendo un accordo col Principe Gisulfo di Salerno.

In cerca di alleati, allora, lo spregiudicato Pontefice rivolse interesse all' Esarcato suscitando la collera di Berengario: il regolamento di conti coinvolse anche Pietro Candiano, che intervenne a sostegno di Guido, figlio del pugnace Viceré d’Italia.

Molte località dello Stato ecclesiale furono occupate e, fra alterne vicende, anche per la condotta prevaricante tenuta nei confronti dei Grandi Feudatari e degli Ecclesiastici, Giovanni XII invocò l’aiuto di Ottone già informato dei torbidi italiani da Valperto e Valdo.

Garantita la sicurezza nazionale, pertanto, Ottone volse di nuovo l’attenzione  all’Italia: Liudolfo si era pentito e, benché aspirasse a tornare in possesso dei beni espropriatigli, per intercessione di Brunone ottenne di guidare una spedizione in Italia e liquidare le pretese del Marchese d’Ivrea.

Nell’autunno del 956, egli valicò il Brennero in marcia contro Adalberto.

La fortuna gli arrise: conseguiti due fausti risultati in battaglia, il Principe entrò a Pavia e ricevette l'omaggio dei Grandi del Regno e del Clero, prima di mettersi sulla via del ritorno. Tuttavia, giunto a Piomba, il 6 settembre del 957, si spense all’improvviso alimentando il diffuso sospetto di avvelenamento da parte di Agenti dell’irriducibile Berengario.

Fra il 956 ed il 957, la reiterazione di una Politica aggressiva soprattutto nei confronti della Chiesa, da parte di costui, spinse ancora il Papa ad esigere l’intervento diretto di Ottone che progettava una discesa in Italia per tre ragioni: liquidare definitivamente l’inaffidabile Vassallo; valutare la condotta del Pontefice, accusato di dissolutezze e di immoralità; acquisire il Nomen Imperatoris.

Nel maggio del 961, pertanto, tenne Dieta a Worms: fece incoronare il novenne figlio omonimo e  ottenne dai Grandi che gli giurassero fedeltà; poi proseguì per Aquisgrana ove, nella domenica pentecostana del 26, nella cappella palatina di Carlo Magno, il bambino cinse solennemente la corona e fu affidato alla tutela ed alla educazione del fratello Arcivescovo Guglielmo.

In agosto, nella previsione di restare a lungo distante dalla Germania, affidò la Reggenza a sua madre Matilde; il governo della Lotharingia al proprio fratello  Brunone di Colonia e la difesa delle frontiere ad Hermann di Sassonia. Poi, con la moglie e con la scorta armata di legioni dei Vendi, valicò il Brennero.

Una volta su suolo italiano, a contrastargli il passo fu Adalberto al cui fianco i Grandi del Regno si schierarono pretendendo l’abdicazione di Berengario in favore del figlio. Respingendo l’istanza, il Marchese e la consorte Willa produssero una generale diserzione che spianò la via all’invasione germanica.

Acclamato da Vescovi e Città, Ottone entrò in Pavia, mentre Berengario riparava nell’isola di San Giulio ed i figli Adalberto e Guido si arroccavano nel comasco.

Ottone li ignorò.

Ebbe, invece, cura di reinsediare i Vescovi esiliati: Liutprando a Cremona; Valperto a Milano; Valdo a Como e, dopo aver festeggiato il Natale si mosse alla volta di Roma preceduto dall'Abate di Fulda, incaricato di definire col Papa gli accordi per l'incoronazione.

Nel frattempo, formalizzata la deposizione di Berengario e del figlio, fece acclamare correggente il piccolo Ottone II.

Prima di conferirgli la dignità imperiale, Giovanni XII intendeva porre delle condizioni: Ottone doveva  … sotto il sacro vincolo del giuramento promettere di difendere la Chiesa Romana e il Papa, impedendo che gli fosse fatto alcun male, di non usurpare nessuna delle attribuzioni del Pontefice e di non fare a Roma alcun nuovo ordinamento senza il consenso del Papa; infine doveva dare assicurazione che avrebbe restituito i beni di S. Pietro e che avrebbe imposto al suo rappresentante in Italia di difendere il patrimonio della Chiesa

Il 2 febbraio del 962 Ottone e Adelaide furono solennemente consacrati, alla presenza dell’Aristocrazia capitolina; ma, ancora memore dell'affronto del 951, diffidando di tanto ambiguo servilismo, egli chiese al proprio fedele Armigero Ansfredo di guardargli le spalle mentre era inginocchiato davanti la tomba dell' Apostolo.

Il Papa e il Popolo prestarono giuramento di fedeltà, assicurando di non appoggiare in nessun caso Berengario e Adalberto.

Da quel giorno Adelaide comparve in tutti i diplomi di Stato come Compagna del Regno e Compagna del nostro Impero. A conferma della sua devozione, poi, in un atto del 13 marzo ed in uno successivo del 6 ottobre avrebbe affermato … admonitione dilecte nostre coniugis Adelhide regni nostri consortis  …  concultu atque interventu Adelaide nostre dilectissime coniugis nostrique imperii consortis.

Quel giorno l’Italia divenne periferia della Germania: la consacrazione di Ottone storicizzò l'unione fra le tiare di Germania e imperiale e la nascita ufficiale del Sacro Romano Impero della Nazione Germanica o Heiliges Römisches Reich Deutscher Nation.

Il 13 febbraio l’Imperatore pubblicò il Privilegium Othonis che sanciva la sua assoluta superiorità, riconoscendo i domini della Chiesa ma subordinando la legittimità dell’elezione papale all'approvazione imperiale: la sottomissione del Papato aveva il duplice scopo di sottrarre il vertice della cristianità al gioco politico delle consorterie aristocratiche romane, che se lo contendevano, e di restituirgli, sotto la tutela della Corona, prestigio ecumenico.

Alla stessa concezione egli aveva saldato l'istituzione dei Vescovi/Conti che, portando in sé potere spirituale e temporale, si proponevano espressivi della inscindibilità dell'Impero cristiano, esaltandone la sacralità.

Il documento restituiva vigenza alle disposizioni di Lotario che, nell’824, aveva imposto al Pontefice il giuramento di fedeltà, ancor prima della consacrazione. Con lo stesso testo, furono confermate alla Chiesa le donazioni ricevute da Pipino in poi: Roma, la Sabina, l'Esarcato, la Pentapoli, alcuni centri della Tuscia e della Campania tra cui Capua, i patrimoni ecclesiastici nei territori di Benevento e Napoli e della Calabria e della Sicilia, da ultimo Gaeta e Fondi.  Ad essi, il magnanimo Sovrano aggiunse Rieti, Amiterno, Forcone, Norcia, Valva, Marsica e Teramo e confermò il censo annuo dovuto da Spoleto e dalla Tuscia.

La circostanza che un Re germanico, e come tale barbaro, fosse stato investito di una così alta dignità, infuriò il trono d’Oriente: indignato, Ottone invase per rappresaglia i territori del Mezzogiorno bizantino ma, contestualmente, mirando a ripianare la contrapposizione con un vincolo di parentela, inviò a Costantinopoli il Vescovo Liutprando per negoziare le nozze del proprio omonimo erede con la Principessa Teofano.

Lasciò Roma il 14 febbraio per festeggiare la Pasqua a Pavia e organizzare la guerra contro Berengario.

Adottò, nel frattempo, provvedimenti in favore di Raterio, al quale fu resa la Cattedra di Verona; di Oberto promosso al rango di Conte palatino; di Guido Vescovo di Modena, elevato alla dignità di Arcicancelliere.

Ultimati i preparativi per la campagna militare, aprì le ostilità attaccando l'Isola di San Giulio, sul Lago d'Orta, dove era arroccata la Regina Willa.

L'assedio, iniziato nel maggio del 962, fu sciolto a fine di luglio, quando ella si arrese e la piazzaforte fu restituita al Primate di Novara; ma recuperata la libertà, la donna raggiunse il coniuge a San Leo aizzandolo alla resistenza mentre Ottone, dopo vani tentativi di stanare i figli fra Comacina e Garda, si dispose a trascorrere anche il Natale e la Pasqua del963 aPavia.

In quella sede apprese del tradimento di Giovanni XII che, avvicinatosi ad Adalberto, rifugiato prima in Calabria sotto protezione dei Saraceni e poi in Corsica, lo invitò a Roma e avanzò richiesta di aiuto agli Ungari.

L’Imperatore preferì debellare prima Berengario.

Sceso a Ravenna con un formidabile Esercito, marciò su San Leo e la assediò a oltranza; nel frattempo, per allontanarlo dalla causa del ribelle, aprì relazioni diplomatiche col Doge Candiano IV donandogli la regia corte di Mestre e confermando il possesso dei beni del monastero di San Zaccaria, senza tuttavia perdere di vista le attività del Papa che pretestuosamente protestava per il mancato rispetto delle promesse e per l’ospitalità offerta ai suoi nemici Vescovo Leone di Velletri e Cardinale Giovanni.

Il Sovrano inviò a Roma Laudoardo di Minde e Liutprando di Cremona: nessuna restituzione dei beni sarebbe stata effettuata, finché Berengario non fosse stato annientato.

Giovanni XII cautamente temporeggiò, ma intensificò le relazioni con Adalberto.

A fronte dello sprezzo delle proprie prescrizioni, lasciata all'assedio di San Leo parte delle truppe, Ottone marciò su Roma raggiungendone le mura in novembre: quando si rese conto di essere isolato e di non poter opporre resistenza, Giovanni trafugò il tesoro di San Pietro e con l’ospite riparò in Campania.

Il Sovrano fu accolto con grandi onori dalla Popolazione che gli rinnovò il giuramento di fedeltà e l’impegno a mai eleggere Papi fuori dal suo previo consenso e del figlio Ottone II.

II 6 novembre del 963 Ottone convocò un Concilio cui parteciparono l’Aristocrazia capitolina; il Clero Minore; il Popolo di Roma; l’Episcopato italiano, francese e tedesco e Pandolfo di Capua, Amico e Vassallo la cui lealtà, abbandonata la causa papale, era stata premiata con l’Investitura della Marca di Spoleto e Camerino.

Giovanni XII fu messo sotto accusa e molti Prelati ne testimoniarono le scelleratezze che lo consegnarono alla Storia come una delle più turpi espressioni di quella Roma Deplorabilis causa, secoli più tardi, della ribellione di Lutero: ...il più famigerato quanto a scandali: Papa feudale quant'altri mai, immischiato in tutti gli intrighi in cui si disputava la sorte della Città Eterna, sul suo conto si riferiscono le peggiori storie di banchetti orgiastici... in cui i convitati brindavano a Lucifero!....

Eletto a simbolo d'ogni peccato mortale: per aver tradito e vilipeso il Privilegium Othonis, per essersi macchiato di sacrilegio e paganesimo; per aver praticato incesto con la madre e le sorelle; per essersi arricchito con gli ex voto; per aver nutrito una scuderia di duemila cavalli con mandorle e fichi conditi nel vino, in sprezzo della pur diffusa miseria del Popolo; per aver officiato senza aver mai assunto il Sacramento della Comunione; per aver evirato e assassinato un Cardinale a lui ostile.

Si decise di adottare provvedimenti a suo carico, solo dopo l’escussione richiesta con una lettera ufficiale dell’Imperatore: ...Tutti quanti, religiosi e laici, accusano Voi, Santità, di omicidio, spergiuro, sacrilegio, incesto con le vostre parenti, comprese due vostre sorelle, e di aver invocato, come un pagano, Giove, Venere ed altri demoni....  ci riferirono di voi tali e così turpi cose che ci farebbero arrossire se si dicessero di un istrione. … noi preghiamo vivamente la paternità vostra di venire a Roma senza indugio e di discolparvi da tutte queste accuse…. noi vi assicuriamo con giuramento che nulla si farà fuor della sanzione dei sacri canoni

Il documento raggiunse a Tivoli Giovanni XII, che lo riscontrò con un biglietto in barbaro latino: …  Nos audivimus dicere quia vos vultis alium papam facere; si hoc facitis, excommunico vos da Deum omnipotentem, ut non habeatis licentiana nullum ordinare et missam celebrare

L’Assemblea conciliare se ne indignò.

Sintomatica del suo temperamento fu la risposta di Ottone, che ironicamente rimproverò al Pontefice l'errore di grammatica commesso scrivendo nullum invece di ullum.

Alla terza seduta conciliare, l'Imperatore chiese che il concilio pronunciasse la sentenza in contumacia e all’unanimità l’Assemblea votò la deposizione di quel mostro i cui vizi non erano redenti da alcuna virtù e gridò tre volte il nome del Protoscrinario il quale, con il consenso di Ottone, condotto in processione al palazzo lateranense e assunto il nome di Leone VIII, fu consacrato nella basilica di San Pietro e ricevette da Clero e Popolo giuramento di fedeltà.

Parallelamente, si apprendeva che la fortezza di San Leo si era arresa e che i Resistenti Berengario e Villa, venivano deportati a Bamberga. Guido e Adalberto erano scappati ancora in Corsica mentre Giovanni XII pianificava una congiura per liquidare il Sovrano e il suo Papa.

La rivolta scoppiò il 3 gennaio del 964: i Ribelli si scontrarono con le milizie imperiali sul ponte di Sant’Angelo e ne furono travolti. I superstiti supplicarono il perdono e giurarono lealtà avanti la tomba dell'Apostolo consegnandogli a riprova dell’impegno cento ostaggi che il Sovrano rimandò in libertà.

Nei giorni successivi, appreso che Adalberto era ritornato in Italia e circolava a Spoleto, Ottone lasciò a Roma come suo rappresentante il Vescovo Otcherio di Spira e si pose in marcia; ma alle sue spalle, la fazione romana antitedesca insorse ancora e mise in fuga Leone accogliendo Giovanni XII che, attuata una serie di rappresaglie, convocò per il 26 febbraio un’assise in cui, annullata l'elezione del rivale, defraudò delle cariche Quanti lo avevano votato e tentò di negoziare la pace col Sovrano.

Gli mancò, però, il tempo: il 14 maggio, sorpreso in flagrante adulterio, fu assassinato da un Popolano romano.

A Rieti Ottone ebbe notizia del decesso e della conseguente elezione di Benedetto V: un durissimo colpo al suo prestigio e la responsabilità morale nei confronti di Leone VIII cui non avrebbe voltato le spalle!

Rifiutatosi di trattare con i Legati capitolini, marciò contro Roma devastandone le periferie prima di assediarla e di prendere per fame la città, il 23 giugno.

Ottenuta la resa, entrò nell’Urbe alla testa dell’Esercito e perdonò la ribellione, ma pretese il riconoscimento del Papa che egli aveva fatto eleggere e convocò in San Pietro un Concilio, cui parteciparono Clero ed Episcopato italiano e tedesco: a Benedetto V, ivi convenuto, fu chiesto perché avesse osato, in sprezzo delle decisioni imperiali, accettare la dignità del Papa.

Egli rispose semplicemente … Se ho mancato, abbiate misericordia di me…; poi fu spogliato degli abiti pontifici e, per intercessione di Leone, ebbe salva la vita ma col grado di Diacono e fu condannato all'esilio ad Amburgo.

Festeggiati i Santi Pietro e Paolo, Ottone lasciò Roma: il successivo 29 fece quartiere a Lucca, soggiornandovi fino all'8 agosto. Poi proseguì per la Liguria, ove le sue retrovie furono assalite da Adalberto e truppe còrse. Non fu data alcuna importanza alla vicenda: egli continuò la marcia per Pavia ove, a fine anno, ebbe notizia della resa di Comacina.

Ai primi di gennaio del 965 il Sovrano mosse verso la Germania.

Credeva di avere pacificato l’Italia, ma l’ostinato Adalberto teneva accesi focolai di ribellione aggregando alla propria causa pezzi di Nobiltà antitedesca: il Conte Bernardo di Pavia, i Primati Sigoldo di Piacenza e Guido di Modena.

Ad annientare definitivamente il figlio di Berengario, fu inviato un Esercito svevo comandato dal Duca Burcardo: lungo le acque del Po, egli travolse il Nemico, ne uccise il fratello Guido e ne catturò l’altro germano Conone; infine, mise al bando i Ribelli.

A Roma, intanto, il 1° marzo era morto Leone: la Popolazione incaricò un’Ambasceria di chiedere al Sovrano di pronunciarsi per la nuova elezione e Ottone inviò nella città Liutprando ed Otcherio di Spira che garantirono la consacrazione del filotedesco Primate di Narni, col nome di Giovanni XIII; ma i Capitani del Popolo ordirono una ramificata congiura, capeggiata dal Prefetto cittadino Pietro: il 1° dicembre del 965 il Papa fu deposto e imprigionato in  Castel Sant'Angelo. Con la complicità di Pandolfo di Capua, riuscì ad evadere e a chiedere l’intervento imperiale.

Ottone era a Colonia per l’estremo saluto all’amato fratello Brunone.

Il 17 gennaio 966 fu ad Aquisgrana e nel marzo in Sassonia per festeggiare la promozione  della figlia dodicenne Matilde ad Abbadessa del convento di Quedlimburg; sicché in agosto del 966 riunì una Dieta per varare provvedimenti risolutivi della questione romana e, all'unanimità, vi si stabilì una nuova spedizione in Italia.

Affidato il Regno ad Ermanno di Sassonia e il figlio ancora alle cure del fratello  Guglielmo di Magonza, in  autunno l'Imperatore fu in Lombardia; sgominò i partigiani di Adalberto arrestandoli e confiscandogli i beni e a metà dicembre fu a Roma.

La sola notizia del suo imminente arrivo i Filotedeschi avevano recuperato il controllo della città e richiamato e reinsediato Giovanni XIII, ma la pace si trovò dopo un tremendo massacro: i Decurioni furono impiccati, molti Aristocratici furono deportati in Sassonia, il Prefetto Pietro fu sospeso per i capelli alla statua equestre di Marco Aurelio, in Piazza del Laterano, prima di essere obbligato a sfilare per le vie cittadine con la testa dentro un otre, a cavalcioni di un asino, ed essere esiliato in Germania.

Il Papato era tornato sotto la dipendenza dell'Impero e Roma era Vassalla.

Nella vigilia di Natale del 967, il quattordicenne Ottone II raggiunse il padre e fu associato al trono.

Nel gennaio del 968, assieme all’Imperatrice, Ottone si recò a Capua e vi incontrò i Legati del Basileus Niceforo Foca: nella impossibilità di fornire soluzione al possesso bizantino di vaste aree meridionali, si decise di dare la parola alle armi.

Col sostegno dei Pisani, che misero a disposizione la Flotta, l’Imperatore si inoltrò fino a Bari ma la resistenza della città al suo assedio lo indusse a recedere ed a tentare le vie diplomatiche, inviando il Vescovo Liutprando di Cremona a Costantinopoli con una proposta di matrimonio fra l’erede al trono germanico ed una Principessa orientale.

Foca fu irremovibile quanto inospitale e rinfacciò alla Corona germanica l’occupazione di Roma, l’indebita assunzione del titolo imperiale, l’imposizione della sovranità ai Principi di Capua e Benevento. A nulla valsero le giustificazioni del Primate che fu licenziato con l’incarico di intimare al Sovrano l’abbandono dell’Urbe e la rinuncia a mire sul Mezzogiorno peninsulare e sui  Principati longobardi, Vassalli dell'Impero d'Oriente.

In ottobre di quello stesso anno, Ottone apprese dell’arrivo in Puglia di contingenti bizantini a sostegno di  Adalberto. Per intimidire il Basileus scese nel Sud e festeggiò la Pasqua del969 a Cassano; poi, riattraversata la Puglia, tornò a Roma dove apprese da Liutprando i risultati dell’incontro. Infuriato, allora, incaricò di devastare le zone bizantine Pandolfo che fu catturato e condotto a Costantinopoli mentre Eserciti orientali irrompevano su Benevento, Capua ed Avellino col favore dei Napoletani.

L’eco dei successi bizantini raggiunse Ottone a Pavia nell'agosto. Senza porre indugi, egli incaricò il Margravio Gunther di Minia di condurre un Esercito di Svevi, Alemanni e Spoletani a liberare i territori invasi e marciò su Napoli. Ma nel perdurare delle manovre, apprese che Niceforo Foca era stato assassinato in una congiura di palazzo diretta dal  cugino Giovanni Zimisce.

Il nuovo Basileus perseguiva una Politica distensiva: accettò, pertanto, la mediazione di Pandolfo; lo liberò e lo accompagnò in Italia restituendogli il Principato.

Nel 971 le nozze di Stato furono approvate dalle parti e la sedicenne Teofano, bellissima e coltissima, accolta a Benevento dal Vescovo Teodorico di Metz, fu scortata a Roma dall’Arcivescovo di Colonia e varia Nobiltà: l’attendevano il futuro suocero e il futuro marito diciassettenne.

Il matrimonio fu celebrato con grandissima solennità il 14 aprile alla presenza di Giovanni XIII che cinse gli Sposi della corona imperiale.

L’unione fu un trionfo diplomatico pari al fallimento della politica ottoniana sull'Italia meridionale, la cui situazione restò allo statu quo ante: Capua e Benevento restarono sotto l'alta sovranità occidentale, i territori della Puglia e della Calabria all'Oriente, nella cui orbita, seppur in autonomia, si tennero Napoli, Amalfi e Salerno.

Nel maggio del 972, Ottone I lasciò Roma e si trattenne fino all'agosto in Lombardia prima di tornare in Germania.

Il suo ruolo aveva assunto enorme consistenza a Roma, in particolare per aver distrutto la colonia musulmana calabrese.

Lungo il viaggio apprese che il Papa s’era spento il 6 settembre del 972: gli sarebbe succeduto, su indicazione imperiale, Benedetto VI nel gennaio del 973.

Trascorso il Natale a Francoforte, si recò a Magdeburgo per ancora una volta omaggiare le spoglie dell’adorata Edith e il 23 marzo festeggiò la Pasqua a Quedlinburg, ove ai primi di maggio del 973 tenne una grandiosa Dieta. Era, tuttavia, un uomo solo: Amici, fratelli, figli erano morti e forse fu un presagio che lo spinse ad una cavalcata a Memleben, ove s’era spento il padre.

La sera del 7 di quello stesso mese, proprio in questa località, dopo aver cenato, accusò un malessere; chiese i Sacramenti e, dopo averli assunti, spirò.

Le sue spoglie, accompagnate da una scorta d’onore, furono traslate a Magdeburgo e, per sua volontà, collocate accanto a quelle della prima moglie.

La pietra tombale di marmo antico su lamina d’oro recita Tres luctus  causae sunt hoc sub marmore clausae: rex, decus ecclesiae, summus honor patriae.

La Storia tedesca lo designò Grande poiché fu il fondatore dell’egemonia germanica in Europa; perché perseguì l’obiettivo di realizzare nesso di continuità fra il trono germanico e l’Impero Romano d’Occidente di Romolo Augusto, già rilanciando lo Jus latino a conferma della eredità romana legittimamente spettante ai Sovrani tedeschi; perché annientò gli Ungari e gli Slavi; perché rese l'Italia periferia della Germania nella prospettiva dell’unione del Nord e del Sud; perché aggiogò il Papato; perché impose la propria sovranità sui Principati longobardi del Sud; perché riscosse il rispetto dall' Impero bizantino; perché, parallela alla stabilizzazione dell’edificio politico, aveva mostrato enorme considerazione per la vita spirituale favorendo la fioritura della Cultura ecclesiale e monastica tedesca, proteggendo Intellettuali come Liutprando di Cremona e Gerberto d'Aurillac, sostenendo il Riformismo clunyacense; conferendo enorme impulso alla Teologia, all’Arte figurativa e alla Storiografia. Fiorirono, sotto il suo patrocinio, Scuole monastiche e Scuole delle Cattedrali e, non a caso, il più grande testi liturgico del secolo è il Pontificale ottoniano datato nel decennio fra il 952 e il 962 e contenente le preghiere per la consacrazione regia. Esso, dalle preziose rilegature tempestate di pietre preziose e miniature dalla originale energia icastica, in seguito fu inserito nel Pontificale Romanum, a conferma del pregio ecumenico.

Il nome di Ottone resta, tuttavia, fisso al grande capolavoro architettonico che è il duomo di Magdeburgo: egli ne ordinò la costruzione il 2 febbraio del 962, dotandola di un gran numero di elementi dell'Antichità, a partire da splendide colonne di porfido.

Con la sua morte, la Storia cambiò e quel conflitto aperto fra Potestà laica e Potestà ecclesiastica, che rese l’Italia un campo permanente di contesa, si aggravò producendo quei turbamenti politici, sociali e religiosi esasperati sotto il dominio imperiale degli Svevi che fecero rivivere il sogno dell’Impero: Federico I di Hohenstaufen fu la piattaforma dell’Imperialismo germanico, rilanciando lo Jus romano come fondamento ed emblema del suo potere assoluto; facendo valere i diritti della Corona sulla Feudalità laica ed ecclesiastica; imponendo la propria autorità ai vari Stati e mantenendo un atteggiamento sempre sprezzante nei confronti dei Sovrani di Francia e d'Inghilterra, definiti Reges Provinciarum.

Naturalmente la sua condotta collise con gli interessi della Chiesa, orientata ai principi teocratici di Gregorio VII, e dei Comuni in specie quando egli rivendicò il dominio sulla Penisola. L’opposizione di costoro, fomentata da Alessandro III, avviò quella frattura fra l'Italia e la Germania che trovò soluzione fittizia nella Pace di Costanza: un compromesso enfatizzante la rinuncia all’assolutismo federiciano; ma già l'XI Concilio ecumenico laterano del marzo del 1179 aveva affidato l'elezione papale al conseguimento dei due terzi dei voti del Sacro Collegio archiviando il diritto di ratifica imperiale.

La politica espansionistica di Federico I fu restaurata dal figlio Enrico VI, incoronato Re d'Italia a Milano e associato al potere col titolo di Cesare, atteso il rifiuto di Lucio III a consacrarlo Imperatore ancora vivente il padre.

Le turbolente vicende che accompagnarono quei lustri si risolsero con la solenne grandiosità conferita alla Chiesa da Innocenzo III, nel IV Concilio ecumenico lateranense del 1215, ove ne storicizzò la supremazia e sancì il fallimento della Politica di Federico II, la cui visione messianica era entrata in conflitto con i diritti dei Feudatari; con le insopprimibili libertà comunali; con i privilegi del Clero furiosamente contrapponendo Guelfi e Ghibellini.

Alla fine, tuttavia, quei due Poteri entrambi ecumenici per loro stessa natura, si indebolirono: se l’Impero si avviò all’irreversibile declino per il contrasto espresso anche dal diritto elettorale contro la prassi dell’ereditarietà e la Chiesa si consegnò a quella Cattività avignonese cui non seppe sottrarla neppure il sostegno della altissima forza spirituale coeva: il Riformismo clunyacense.

Con la morte di Federico II e dei suoi discendenti, in meno di vent’anni l’Impero si sgretolò e si concluse la appassionante storia del Sacro Romano Impero, poiché alcuno dei Sovrani successivi fu in grado di incarnarne la passione, l’intelligenza e la dignità di Statista.

Gli Scrittori di parte ghibellina e i dotti Canonisti di parte guelfa, che avevano variamente parteggiato, mantennero alto il dibattito ma l'ideale imperiale s’era appannato, malgrado le energie in seguito spese da Dante Alighieri con il De Monarchia, Giovanni da Parigi con il De potestate Regia et Papali, Marsilio da Padova con il Defensor Pacis.

Cinquant’anni dopo la morte di Federico II, dopo l'eclisse imperiale dell’ Interregno, Bonifacio VIII emanò la bolla Unam sanctam: ultimo e deciso tentativo di affermazione di superiorità ecclesiale su ogni altra potestà laica.

Contro essa e contro i residui dell’Impero, si scagliò Filippo il Bello e fu la fine di un'epoca.

Bibliografia: