Donne nella Storia

Olimpia Maidalchini Pamphili, la Pimpaccia

di Ornella Mariani
Olimpia Maidalchini Pamphili.
Olimpia Maidalchini Pamphili.

Olimpia Maidalchini Pamphili, la Pimpaccia

Così scrisse il Muratori … Donna di gran senno bensì di non minore onestà ornata, ma insieme soggetta alle vertigini dell’ambizione e dell’interesse…  Trovandosi allora il vecchio pontefice bisognoso di chi l’aiutasse a portare la pesante soma del governo, donna Olimpia ebbe campo, siccome donna umile d’ingerirsi in tutti gli affari; di maniera che a lei facevano capo anche gli ambasciatori e per mezzo di lei si ottenevano le grazie; per le quali vie giunse ella ad accumular tesori

Così disse Sforza Pallavicino …Mostruoso potere di una femmina in vaticano

Così commentò l’Ambasciatore francese Valencay … una gran donna, grande perché ha saputo avanzarsi, assentarsi e rimettersi nella grazia del papa con tanta prudentia che ne stupisce la corte di Roma, per altro avvezza alle meraviglie. Che, poi, sia donna comparisce dalla volontà di accumulare con troppa industria, nel dilettarsi della vendetta e, finalmente, nel far più conto dell’apparenza che della realtà del suo dominio. Pure torno a dire che è una gran donna, e se chi finse che una femmina ottenesse il papato ne’ tempi scorsi, l’avesse saputa descrivere sagace, accorta e provvida come questa, certo che l’avrebbe potuto passare per istoria

Così si espresse Giacinto Gigli:

Nocque Innocenzo al popolo romano

 et fu la gloria sua molto scemata

 per haver posto il bel dominio in mano

 della vedova Olimpia sua cognata

che spesse volte diè la tratta al grano

et la fava per gran fu macinata

et chi chiedea la gratia l’avea l’intento

porgendo alla signora oro e argento

Un groviglio di leggende e maldicenze accompagnano la memoria di Olimpia Maidalchini Pamphili: donna di potere della Roma seicentesca, quarta figlia di Vittoria Gualterio e del ricco Appaltatore Sforza, nata a Viterbo il 26 maggio del 1591 e morta di peste a San Martino al Cimino il 26 settembre del 1657.

Destinata al convento con le due sorelle Ortensia e Vittoria, a vantaggio degli  interessi dell’unico fratello Andrea, si oppose alla decisione paterna e accusò di tentato stupro il Padre spirituale incaricato di convincerla a prendere i voti: lo scandalo che ne seguì causò a costui la sospensione a divinis ma, successivamente imparentatasi col Papa, Olimpia riparò la falsa accusa facendolo nominare Vescovo.

Sposata a sedici anni al borghese Paolo Nini, dal quale ebbe un figlio precocemente mancato, e restata vedova dopo soli tre anni di matrimonio, assecondando ambizione e cupidigia nel 1612 scelse come secondo marito l’Aristocratico e squattrinato cinquantenne Pamphilio Pamphili, fratello di Giovanni Battista, futuro Papa Innocenzo X: egli la immise nei circuiti dell’alta società capitolina presso la quale assunse tale potere da incidere sulla carriera del cognato, fino al Conclave ed oltre grazie al consistente patrimonio ereditato dal primo marito.

Dalle nozze nacquero due femmine e Camillo, la cui paternità fu accreditata allo zio Prelato.

Nel 1639 Olimpia restò di nuovo vedova: si volle, allora, che il coniuge fosse stato avvelenato mentre la carriera di Giovanni Battista, intanto, era sempre più prestigiosa.

Quando fu designato Nunzio Apostolico del Regno di Napoli, portò con sé il nipote che gli fu accanto anche in seguito a Parigi, ove svolse l’incarico di Cardinale Legato alla Corte di Francia.

Nel 1644 egli fu cinto della tiara pietrina e come primo atto nominò Olimpia sua erede universale, consentendole di decidere nel suo salotto affari, nomine e appalti e rendendola Eminenza grigia della Corte papale e padrona di Roma, tanto da essere soprannominata la Papessa e da irrobustire il già cospicuo patrimonio.

Alta, capelli raccolti in una grossa treccia girata sulla nuca e coperta da un velo vedovile, di aspetto gradevole, vestita sempre di nero, era diventata la figura più temuta, corrotta e potente di Roma: quando il figlio mostrò interesse alla vita ecclesiale, dopo una breve esperienza al seguito del Segretario di Stato Giacomo Panciroli, ella gli fece ottenere la Porpora.

Nel 1645 il Pontefice le cedette tutte le terre appartenute alla ormai decaduta chiusa abbazia cistercense di San Martino al Cimino, con ogni pertinenza e il titolo di Principessa e di Feudataria di Montecalvello, Grotte Santo Stefano e Vallebona accordandole dal 1646, come risulta dal libro della Depositeria segreta, un assegno di duecentocinquanta scudi e riconoscendole grande spirito et economia, malgrado fosse … superba e dava alla conversazione più di quanto si convenisse allo stato vedovile, … passare molte ore al gioco, … la scopriva di animo oltremodo tenace e avida di denaro

Assistita da importanti Architetti, a partire dal Borromini, ella fece restaurare il vecchio cenobio, arricchendolo di due torri con funzione di contrafforti; ordinò la costruzione di un imponente palazzo e riorganizzò il borgo, affidandosi alla competenza di Marc'Antonio de Rossi che si occupò delle mura perimetrali, delle porte cittadine, delle abitazioni e delle strutture pubbliche: lavatoi, forni, macelli, teatro e piazza.

Camillo, ormai Generale della Chiesa, assunse il controllo della località. Tuttavia, conosciuta Olimpia Aldobrandini, vedova del Principe Paolo Borghese, se ne invaghì e contro il parere della madre che, in alternativa alla carriera ecclesiale aspirava al suo matrimonio con Lucrezia Barberini, ottenuta la dispensa papale si sposò.

Il Pontefice accettò le nozze ma, per prevenire prevedibili contrapposizioni fra suocera e nuora, confinò la coppia a Frascati richiamandola a Roma anni dopo quando, per contenere lo strapotere della ingombrante cognata, pensò di opporle la Aldobrandiniche non riuscì a condizionarla: la Maidalchinirestò Primadonna della Corte pontificia e nel 1647 ottenne la Porpora anche per il nipote diciassettenne Francesco, ancora neppure investito degli ordini sacri.

Nel frattempo, a conferma dell’amore per il lusso e per le Arti, Olimpia  assunse il controllo completo della città anche da un punto di vista urbanistico, promuovendo il nuovo assetto di Piazza Navona; conferendole centralità e prestigio; eliminandone il disordine del mercato. Quando la ebbe liberata dalle variopinte baracche e bancarelle, ordinò la demolizione del palazzo Aldobrandini che, sporgendo eccessivamente, le sottraeva l’antica forma ellittica: il Bernini vi sistemò allora la celeberrima Fontana dei Fiumi, trasformata in una vasca principesca. Si vuole che egli ottenesse la commessa in cambio del dono di un modello in argento della scultura da eseguire, alto un metro e mezzo.

Il lavoro di rifacimento della chiesa fu invece affidato al Borromini: il Papa sarebbe morto prima che tutta l’opera fosse completa e le sue spoglie vi sarebbero state alloggiate, nella prospettiva che il sacro edificio diventasse una sorta di cappella privata.

Quanto ai lavori di restauro del palazzo di famiglia, furono convocati il Pittore Pietro da Cortona e gli Artisti Giovanni Francesco Romanelli, Ciro Ferri, Andrea Carnassu, Girolamo Rainaldi e Gaspari Pausin.

Francesco Allegroni affrescò i soffitti con scene bibliche, mentre quelle realizzate da Pietro s’ispirarono all’Eneide, a Ovidio e ad Omero: le immagini furono utilizzate come modelli per tappeti tessuti in Fiandra, mentre Carlo Cesi da Rieti le usò per produrre incisioni.

In definitiva, da quello splendido slargo al Gianicolo, ove Alessandro Algardi costruì il celebre Casino del bel respiro, con grande sensibilità artistica Olimpia concorse allo splendore di Roma, pur disinvoltamente riscuotendo le rendite dei bordelli.

La sua censurabile condotta si prestò a nuovi scandali nell’occasione del Giubileo del 1650, ufficialmente aperto con la Bolla Appropinquat dilectissimi filii del 4 maggio dell’anno precedente: malgrado gli insuccessi conseguenti alla Pace di Westfalia, infatti, il Primate aveva voluto che l’evento fosse celebrato nel segno della pace.

Mentre Roma veniva, pertanto, invasa da decine di migliaia di Pellegrini provenienti dalla Francia, Spagna, Germania, Polonia, Olimpia avocò a sé la gestione della celebrazione organizzando eventi, accoglienza ed ogni sorta di traffico e attività che producesse introiti. Così, nei mesi precedenti l’apertura delle Porte Sante, la città fu scossa da un fremito di rinnovamento: San Pietro fu arricchita di marmi, bassorilievi e colonne; le navate di San Giovanni furono ristrutturate; Santa Maria Maggiore ela Basilica di San Paolo furono restaurate; tutte le strade furono ripulite e le prostitute furono allontanate.

Il nipote Francesco, intanto, investito dell’incarico di Delegato all'apertura della Porta della Basilica di Santa Maria Maggiore, avendo tentato di appropriarsi della cassetta contenente le medaglie e le monete d'oro e d'argento del Giubileo precedente custodite nel muro secondo tradizione, venne a violenta lite con i Canonici che ne rivendicavano la proprietà: per dirimere la questione, si inviò a Olimpia l'analoga cassetta murata a San Giovanni!

Lo sfrenato e avido arrivismo della donna fu frustrato, però, quando in pellegrinaggio giunse l'Infanta Margherita di Savoia che, quale Terziaria francescana, alloggiò nel convento di Tor de' Specchi.

Ella fece di tutto per avere un’udienza chela Principessale negò a lungo, adducendo il pretesto della sordità. Quando, alla fine, il privilegio le fu accordato per le pressioni esercitate dalla Curia, la trattò con notevole freddezza e l’insofferenza ai futili discorsi della sgradita ospite fu tale da indurla a ostentatamente liberarsi del cornetto acustico.

Innocenzo X si spense il 7 gennaio del 1655: si vuole che la cupidigia di Olimpia si spingesse all’asportazione dalla sua camera di due casse colme d’oro e che si schermisse, poi, rispetto agli oneri di spese funerarie assumendo d’essere solo una povera vedova.

Di fatto il Papa, la cui morte pose fine all’enorme potere della ingombrante cognata, restò un giorno intero in attesa d’essere collocato in una bara comprata, alla fine, dal suo Maggiordomo.

Riportato il mercato a Piazza Navona in una Roma dominata da un’altra discussa figura femminile: quella di Cristina di Svezia, il nuovo Papa Alessandro VII, al secolo Fabio Chigi, istituì una Commissione che valutasse le colpe di Olimpia.

A verifiche concluse e confortate da importanti testimonianze, ella fu confinata ad Orvieto ove le fu notificata una ingiunzione che la obbligava a rendere conto di tutto il denaro preso alla Patria subornando i Funzionari; a giustificare le vendite di una enorme mole di benefici; a restituire, sotto pena di scomunica, tutte le somme riscosse indebitamente; a documentare l’uso fatto delle rendite; a spiegare l’utilizzo dei salari estorti agli Impiegati dello Stato; a rendere conto del grano esportato e venduto; a reintegrare tutte le spese superflue; a motivare l’incasso di gabelle e tasse a vario titolo imposte al Popolo; a riconsegnare tutti i preziosi sottratti alla Chiesa.

Il potere di Olimpia tramontava nel disonore, ma provvidenziale intervenne la morte:  ella fu divorata dalla peste, dopo due anni di esilio.

L’eredità lasciata al figlio Camillo e alle figlie Maria Flaminia e Costanza, ammontava a due milioni di scudi!

Di lei si parlò ancora ancora a lungo: nel 1667 inun libello pubblicato a Ginevra da tal Gualdi, Vita di Donna Olimpia Maidalchini, si insinuò che ella fosse l’amante Innocenzo X.

Le suggestioni popolari, poi, avrebbero riconosciuto il suo fantasma in corsa, la sera del 7 gennaio, data dell’anniversario della morte di Innocenzo X, a bordo di una carrozza in fiamme a Piazza Navona, poi diretta verso il Tevere ove sarebbe profondata con tutte le ricchezze accumulate.

Bibliografia