Famiglie

Dal Verme

di Ornella Mariani
Lo stemma dei Dal Verme
Lo stemma dei Dal Verme

Originari di Verona, furono la più illustre famiglia di Condottieri e Feudatari del Nord italiano: le cronache riferite alle loro attività risalgono al XIII secolo, quando membri della casata svolsero ruoli di Podestà, di Capitano del Popolo e di Governatore.

La loro storia cominciò con un Nicola; ma fu a partire da Luchino, morto in Siria nel 1372, che l'impegno militare a servizio di Venezia e Verona occupò il teatro di guerra italiano: col figlio Jacopo, egli spiccò per talento militare, per generosità verso i vinti e per mancanza di avidità. Luchino nacque verso il 1320 a Verona da Pietro.

Esigue sono le notizie sulla sua giovinezza: è certo che avesse contratto le prime esperienze al servizio degli Scaligeri, prima di passare al soldo visconteo nella lotta contro Firenze; è altresì certo che Francesco Petrarca lo descrivesse come di tutti i capitani dell'età nostra, il più esperto e il più valoroso. Iniziò l'attività nell'aprile del 1359, quando per conto del Ducato milanese assediò Pavia riducendola allo stremo. Contro di lui, il frate Jacopo Bussolari esortò invano la popolazione alla resistenza: la fame ebbe ragione e fu premessa alla resa del 13 novembre ed alla conseguente perdita delle libertà comunali. Il monaco fu esiliato ad Ischia e, per riconciliarsi con la popolazione, i Visconti ricostruirono la città dotandola anche di quell'imponente castello, simbolo della nuova Signoria. La loro guerra col Marchese del Monferrato, intanto, continuava: nel 1361 costui chiamò in Italia il Capitano di Ventura Giovanni Acuto che devastò il territorio pavese. Luchino lo contrastò efficacemente e, nel 1363, recuperati diverse aree anche del novarese, lo costrinse alla ritirata. L'azione gli valse enorme considerazione alla Corte viscontea e lo stesso Petrarca, ospite a Corte con l'incarico di Bibliotecario, esaltandone le doti gli divenne amico. Poco più tardi, il Capitano di Ventura accettò la condotta propostagli dal Doge Lorenzo Celsi nel conflitto con Candia e nel maggio di quell'anno, alla testa dell'Armata veneziana sbarcò nell'isola: la rivolta capeggiata dal monaco ortodosso Calogero fu stroncata in soli tre giorni e la Serenissima, a fronte della vittoria conseguita dalle galee di Piero Soranzo il 4 giugno, immise il nome di Luchino nell'albo patrizio veneto assegnandogli anche un appannaggio annuo di duemila ducati. Dopo un lungo soggiorno in Oriente, il Condottiero fu richiamato dai Visconti, ancora in conflitto col Marchese del Monferrato; ma in quegli anni in cui Ambrogio, finanziato dal padre Bernabò, aveva istituito la nuova Compagnia di San Giorgio, egli preferì restare al soldo di Venezia spegnendosi in Siria nel 1372.
Gli subentrò il figlio Jacopo, nato a Verona nel 1350 e sposato a Cia degli Ubaldini, omonima nipote della eroina di Cesena.

Egli era già stato alle dipendenze degli Scaligeri e dal 1370 s'era posto a servizio di Galeazzo II, per il quale nel 1373 aveva occupato la ribelle Val Tidone. Nel 1378, morto il Duca, si accese la conflittualità fra il figlio Giangaleazzo ed il vecchio Bernabò. Jacopo, allora, accettò l'ingaggio dei Signori di Verona e guidò le truppe proprio contro i Visconti. Tuttavia, ristabilita la pace Bernabò, che ne aveva ammirato la capacità militare, lo nominò Vassallo dei feudi nel territorio di Bobbio, cruciali alle sorti della futura Signoria. Assoldato nel 1379 come Comandante generale nella nuova guerra contro il Monferrato, Jacopo però scelse di servire Giangaleazzo del quale divenne una sorta di Ministro/Consigliere: insieme cospirarono nel castello di Pavia per infliggere il colpo mortale a Bernabò, cui tesero un agguato al mattino del 6 maggio del 1385 quando, ignaro, assieme ai figli Rodolfo e Ludovico, egli si dispose ad incontrare il nipote fuori porta Giova. Ad un segnale convenuto, alle spalle di Giangaleazzo comparve Jacopo con un manipolo di uomini che, disarmato l'anziano Visconti, lo tradussero con la prole nel castello di Trezzo ove si spense sette mesi più tardi.
In definitiva, sostenendo il coup d'état, il dal Verme aveva liberato Milano dal sanguinario tiranno, garantendosi contemporaneamente la grata amicizia di Giangaleazzo e della Duchessa Caterina: proprio per loro nel 1387, mentre Giovanni d'Azzo degli Ubaldini occupava Verona e Vicenza, egli avrebbe liquidato la Signoria padovana dei Carraresi suscitando l'attenzione della Serenissima che ne confermò il nome della famiglia nell'albo del patriziato locale.

Nel 1390 il Visconti incaricò Jacopo di una spedizione contro Bolognesi e Fiorentini: gli uni ricorsero al Conte Giovanni d'Armagnac; gli altri ingaggiarono Giovanni Acuto che contenne l'avanzata viscontea: per sventarne il congiungimento, il Condottiero si acquartierò ad Alessandria sorvegliando i transiti sul Tanaro e sulla Bormida e il 25 luglio del 1391 a Castellazzo sgominò i rinforzi francesi. La strepitosa vittoria indusse l'Acuto a ripiegare su Firenze ove, trattenuto dalla carestia e da una contagiosa epidemia, accettò la pace mediata da Bonifacio IX.

Ormai di fatto padrone di tre quarti dell'Italia settentrionale, il 5 settembre del 1395 Giangaleazzo Visconti ottenne dall'Imperatore Venceslao l'investitura a Duca, previa corresponsione di centomila fiorini; tuttavia le sue mire su Genova favorirono il costituirsi di una lega in funzione antimilanese: vi aderirono i Bolognesi, il Marchese di Ferrara, i Signori di Mantova e Padova. Fu ancora Jacopo ad essere incaricato delle operazioni di difesa del Ducato: mentre Ugolotto Biancardo veniva utilizzato a sostegno delle forze navali dislocate lungo il Po, alla testa di un agguerrito esercito egli marciò su Mantova; ma, intercettato dai Confederati guidati da Carlo Malatesta ed informato della sconfitta subìta a Governolo dal sodale, nell'agosto del 1397 fu obbligato a riparare su Guastalla in attesa di aiuti. Giangaleazzo impegnò Alberico da Barbiano ma, a Borgoforte, nel successivo ottobre, Mantovani e Ferraresi sconfissero le truppe viscontee. Deciso a continuare la guerra, il Duca fu minacciato da Leopoldo d'Austria cui si erano rivolti i Fiorentini e, segretamente, anche il Papa ed i Veneziani: armò, dunque, un poderoso esercito e ne affidò il comando ad Jacopo e ad Alberico che fermarono l'avanzata tedesca nei pressi di Brescia il 21 ottobre 1401 e, obbligato l'Imperatore a ripassare le Alpi, nel 1402 occuparono Bologna a margine della vittoriosa battaglia di Casalecchio.

Ad impedire la presa di Firenze fu la notizia della intervenuta morte di Giangaleazzo il 3 settembre di quello stesso anno: Jacopo, allora, riordinò l'esercito in Toscana e tornò in Lombardia per contrastare Francesco Novello da Carrara, impadronitosi di Verona e pronto ad assediare Brescia.

Il conflitto continuò per due anni e si concluse dopo l'alleanza tra Milano e Venezia: piegati definitivamente, i Carraresi prigionieri della Serenissima furono giustiziati con sentenza del Consiglio dei Dieci. Nel frattempo, inviato a Venezia come Legato di Caterina Visconti, Jacopo ripianò i rapporti con la Repubblica cedendogli i possedimenti padovani; ma il perdurare di un clima di intrighi e congiure indusse la Duchessa a trasferirsi a Monza, mentre il figlio Giovanni Maria assumeva la guida del Ducato preda ormai dell'anarchia.

Nel gennaio del 1407 Jacopo reclutò uomini a Venezia e a Mantova ma il Duca gli revocò il comando generale, assegnandolo a Facino Cane.
L'affronto decise il dal Verme alla reazione armata: i due Capitani di Ventura si affrontarono nel bergamasco il 21 febbraio del 1407. Facino in rotta fuggì verso Pavia ma, inseguito, si spostò in Piemonte mentre Jacopo, pur solennemente festeggiato a Milano, disgustato dall'ambiguità del Visconti, nel 1408 ne abbandonò la causa, come già Alberico da Barbiano.

Si ignora se, trasferitosi in Oriente, vi morisse combattendo i Turchi come già anche il padre, o si spegnesse a Venezia: la sua fine resta avvolta nel mistero, mentre la sua eredità fu raccolta dal figlio Luigi, nato verso il 1380 e sposato a Luchina, figlia del Carmagnola. Intrapresa la carriera mercenaria presso i Veneziani, egli militò anche nella compagnia di Muzio Attendolo prima di porsi a servizio dei Bolognesi e, sconfitto da Braccio da Montone, di tornare alle dipendenze della Serenissima. Nella guerra tra Milano e Venezia fu chiamato dal Visconti: battuti i Fiorentini a Pietrasanta, Luigi partecipò alla difesa di Bellinzona ottenendo nel 1441 i feudi di Bobbio, Voghera, Valsassina e Castel San Giovanni, cui aggiunse poi quello veronese di Sanguinetto. Nel 1446 fu Capitano generale degli Este e, morto Filippo Maria Visconti, si schierò con Francesco Sforza contando di recuperare i feudi paterni. Non fece in tempo: dopo aver partecipato a molte brillanti azioni di guerra, ferito durante l'assedio di Monza, morì a Melzo il 4 settembre del 1449.

Ultimo dei suoi quattro figli fu Pietro: il più amato ed apprezzato dei membri della casata. In memoria del padre, egli fu decorato del cingolo militare nello stesso giorno in cui Francesco Sforza assumeva la guida del Ducato. Tutti i domini feudali della sua famiglia gli furono riconsegnati ed egli volle equamente dividerli con i fratelli. In seguito, divenne Signore dell'intera riva orientale del lago di Como e fra i più potenti Feudatari italiani. Nel 1492, allontanato di fatto da Ludovico il Moro, sostenne il Duca di Ferrara in conflitto con Venezia. Restato vedovo, per inserirsi nella corte sforzesca, Pietro sposò Chiara Sforza, figlia del defunto Duca. Con la complicità dello zio Ludovico, ella lo avvelenò il 17 ottobre del 1485 per ereditarne i cospicui beni che, alla fine, il Moro confiscò e donò all'amante Cecilia Gallarani.

Dei dal Verme restò solo la memoria di eroiche imprese e della lealtà dei comportamenti.

Bibliografia: