Le Grandi Battaglie

La Battaglia di Azincourt

di Ornella Mariani
La Battaglia di Azincourt
La Battaglia di Azincourt

A causa della follìa di Carlo VI, la Francia fu governata da un Consiglio di Reggenza presieduto dalla Regina Isabella e fortemente influenzato dal Duca di Borgogna Filippo l’Ardito, ma contrastato da Luigi d’Orléans, germano del Re.
Nel 1404, morto l’ingombrante Borgognone cui subentrò il figlio Giovanni, egli avocò a sé il potere e consolidò la relazione sentimentale con la cognata, fino ad essere forse padre del futuro Carlo VII. La sua salda ostilità impedì al nuovo Duca di realizzare l’organicità territoriale tra Fiandre e Borgogna; ma l’imposizione di una nuova imposta che risollevasse le casse dello Stato fu la scintilla per l’inasprimento dei rapporti: il Borgognone la obiettò sulle sue regioni e nel 1405 entrò armato a Parigi, mettendo in fuga gli amanti.

Due mesi più tardi, anche per la ripresa della guerra con gli Inglesi, Giovanni e Luigi si riconciliarono ed alla fine del 1406 condussero due campagne militari rispettivamente a Calais ed in Guyenna poi rinfacciandosi di essersi reciprocamente boicottati.
La nuova latente rottura fu formalizzata dalla diceria che l’Orléans avesse insidiato la Duchessa di Borgogna.
Sta di fatto che nel 1407, mentre usciva dagli appartamenti privati dell’amata Isabella, Luigi fu assassinato.
Al Prevosto di Parigi, Giovanni si confessò mandante, ma una Assemblea solenne tenuta in Amiens lo assolse.
Alla vittima successe il figlio Carlo che, per vendicarsi, coagulò gli Orléanisti e, nel 1410, sposata Bona, figlia del potente Bernard VII d’Armagnac, fece del suocero e dei Duchi di Berry, di Borbone, di Bretagna, d’Alençon e di Clermont e di molti Cavalieri guasconi i referenti di una lotta senza quartiere ai Borgognoni.

Da quel momento la Francia fu straziata dalla violenta lotta fra fazioni: Giovanni di Borgogna aveva il controllo di Parigi e dei grandi centri del Nord, Bernard godeva del favore delle realtà rurali. Entrambi rivolsero richieste di aiuto agli Inglesi: l’uno, nel 1411 ottenne truppe di rinforzo per la capitale; l’altro offrì ad Enrico V l’Aquitania in cambio del sostegno.
Quando sembrò che le parti potessero giungere ad un accordo, a Parigi insorsero le Corporazioni dei Macellai e dei Conciapelli che, guidati da Simon Caboche, insanguinarono la città tra maggio e luglio del 1413. Il Duca di Borgogna intervenne solo a fronte dell’arresto di quindici Dame di Corte, ma non ebbe alcuna influenza sulle violenze e sulle esecuzioni indiscriminate.

Ai primi d’agosto, Armagnacchi e Borgognoni allora consentirono al Magistrato Jean Jouvenel di animare un movimento di reazione che prometteva amnistia generale e pace: in pochi giorni costui riuscì a restaurare l’ordine e a spostare in direzione armagnacca la gran parte della popolazione. Non a caso, in settembre il Duca d’Orléans entrò in Parigi e rimise in carica tutti i Funzionari precedentemente deposti e prese a perseguitare i ribelli. Giovanni di Borgogna si ritirò a Lilla. Tornò nella capitale nel febbraio del 1414, con una consistente scorta; ma gli fu notificato il bando e la guerra civile riprese risolvendosi solo un anno dopo con il trattato di Arras.

Dal 1413 Enrico V, intanto, era Re d’Inghilterra: fra i primi atti del suo mandato, rivendicò il trono capetingio e nel 1415 sbarcò alla foce della Senna, deciso ad occupare la Francia. Diffidando del Duca di Borgogna, che ordinò ai suoi Vassalli di non recarsi a Rouen, punto di concentramento dell’esercito nazionale, i Francesi si prepararono alla guerra. Lo scontro si risolse in un disastro.
All’alba del 25 ottobre, le parti schierarono le loro legioni: i Francesi nella piana tra Azincourt e Tramecourt, per anche sbarrare le vie di accesso a Calais.1
Ordinati su tre file di Fanteria, con la prima fiancheggiata a destra da un nutrito gruppo di Balestrieri e da un migliaio di Cavalieri concentrati sul margine boschivo ed a sinistra da altri mille e cinquecento, essi affidarono l’oriflamme2 a Guillaume de Martel, che lo lasciò solo dopo la morte in campo; organizzarono il nucleo d’attacco al centro, sostenendolo con corpi scelti di Arcieri e Balestrieri e, per la protezione dei fianchi, posizionarono la temuta e celebre Cavalleria pesante.
La prima divisione era comandata dal Connestabile d’Albret, dal Duca d’Orléans e dal Maresciallo Boucicault. La seconda era guidata dal Duca d’Alençon; la terza era affidata al Conte di Marle.

I Balestrieri avrebbero tirato intensamente per opporre resistenza ai longbowmen e per aprire la via sui lati nemici all’affondo della Cavalleria; sfondato il fronte, sarebbero stati rincalzati dalle due formazioni centrali che avrebbero combattuto al centro, lasciando alla terza divisione i sopravvissuti. Tuttavia, ritenendola una diminutio della sua leggendaria reputazione, la Cavalleria rifiutò di porsi alle spalle degli Arcieri e, per esibire il proprio orgoglio militare, occupò disordinatamente l’avanguardia sfilando con le proprie insegne, e sovvertendo il piano originale, ostacolando la vista proprio agli Arcieri e ai Balestrieri, impediti nel tiro.

Anche gli Inglesi s’erano divisi in tre blocchi rispettivamente condotti dal Re, dal Duca di York e da Lord Camyos. La loro Fanteria, supportata da Arcieri in formazione triangolare, presentava un fronte d’attacco lievemente concavo. Postisi ad un kilometro circa di distanza dal nemico, con posizione lineare alternavano tre divisioni di Fanti e Cavalieri con altre quattro di Arcieri disposti a cuneo e ulteriori due legioni di Arcieri a difesa delle ali.

Lo schieramento era pronto al tiro incrociato sulla prima linea avversaria: alle 11 del mattino, respinte proposte e minacce, Enrico sfidò i Francesi e ordinò al Maresciallo sir Thomas Erpingham di predisporsi alla manovra di carica. Egli stesso urlò Avanti o bandiera! In nome di Dio onnipotente, e che san Giorgio sia oggi il tuo aiuto. Gli uomini risposero coralmente san Giorgio, san Giorgio; si inginocchiarono; fecero il segno della Croce; baciarono la terra e se ne misero una zolla in bocca.

I tamburi rullarono: cominciò la lenta avanzata verso i Capetingi che, in numero nettamente superiore, persa la convinzione di condurre il gioco, regirono con scomposto disorientamento: a meno di duecento metri dal punto d’impatto, gli Arcieri della Monarchia d’oltreManica conficcarono nel terreno fangoso una serie di pali frangicarica appuntiti e scatenarono una fitta pioggia di frecce, mantenendo comunque il fermo rispetto delle regole e dei Codici di guerra.
La Cavalleria opposta provò a reagire, ma le pessime condizioni del terreno, reso viscido dalla pioggia insistente, rallentò il loro movimento e le palizzate condizionarono i cavalli.
Anche la Fanteria si mosse con difficoltà e degli insistenti tentativi di carica, riuscì a metterne a segno uno solo, imponendo l’arretramento dell’invasore.

Enrico non si perse d’animo e, fattosi precedere da un secondo lancio di dardi, ordinò l’affondo di tutte le forze, a partire dagli Arcieri equipaggiati con armature leggere: nell’imbuto creatosi scivolarono migliaia di Francesi dell’avanguardia e della seconda linea e molti altri furono presi prigionieri per prevenirne la richiesta di soccorsi che nel giorno successivo lo soverchiassero.
Fu allora che: imprevedibile colpo di scena, la retroguardia optò per una ingloriosa diserzione di massa, riparando nei boschi limitrofi. In questa fuga, gli Inglesi lessero una manovra di aggiramento e conseguente aggressione estemporanea, non eseguita per tattica ma su suggerimento del Signore di Azincourt che nella concitazione rubò la corona inglese.
Costui, peraltro, consapevole della inferiorità numerica delle sue truppe e dell’impressionante portata dell’esercito avversario, fu a lungo attanagliato dall’ansia di un affondo proditorio che ribaltasse l’esito della vittoria conseguita.

Nel primo pomeriggio, in ogni caso, la battaglia era cessata: per i Francesi una umiliante rotta nella quale, in difesa del Paese caddero dai sette ai quattordicimila uomini e, con essi, il Connestabile d’Albret e Antonio di Brabante, fratello di Giovanni di Borgogna, mentre molti altri Comandanti furono presi prigionieri: Jean II Le Meingre, capo della fazione armagnacca e già Governatore della Repubblica di Genova, ove era conosciuto come Boucicault; il Duca Carlo d’Orléans; Antonio di Brabante, germano anch’egli del Duca borgognone.
Molti degli eccellenti ostaggi furono oggetto di riscatto.
L’esito dello scontro consentì ad Enrico di rilanciare le pretese.

I Cronisti, al contrario, non smisero di meravigliarsi di come l’assalto di pochi uomini, dotati di armature leggere, potesse aver soverchiato un considerevole numero di Cavalieri.
Quel risultato risiede in una serie di circostanze riferite alla prima linea ed all’avanguardia francesi:
entrambe avevano subìto la decimante aggressione delle frecce;
entrambe erano state sopraffatte dalla difficoltà a muoversi nel fango;
entrambe erano state sottoposte all’ansia dell’attesa della battaglia iniziata già all’alba e incupita dal peso delle armature;
entrambe erano state vittima della tattica adottata dai Capi, che ripeterono il clamoroso errore di Giovanni II a Poitiers, quando la Cavalleria non riuscì ad attrarre l’attenzione degli Arcieri nemici per consentire al resto dell’esercito di affrontare il corpo a corpo.
Peggio: ad Azincourt tanto accadde, ma in forma ribaltata ed a scapito dei Francesi.
Gli Inglesi, infatti, sperimentarono l’uso combinato e simultaneo di picche ed archi, ovvero due lunghe ali di Arcieri e un corpo centrale di Cavalleria armata, appiedata e dotata di lunghe lance, supportata da un esiguo manipolo di Cavalieri in sella.

Gravissime furono per i Francesi le conseguenze della sconfitta: la resistenza si piegò completamente ad Enrico V; le alleanze precedentemente stipulate sfumarono poiché anche l’Imperatore Sigismondo riconobbe nel Plantageneto il Re di Francia; Carlo VI ripudiò il proprio Delfino e riconobbe nel conquistatore il suo erede, cui dette in sposa la figlia Caterina.
E tuttavia il sentimento identitario prevalse e fu lo spirito di rivalsa e la pervicacia della contadina Jeanne d’Arc a ribaltare in seguito le sorti della Nazione e ad archiviare l’assolutismo regio aprendo i Popoli all’era delle Nazioni.

  1. Azincourt o Agincourt è località del Dipartimento del Passo di Calais e non va confusa con la omonima città del Dipartimento di Meurthe-et–Moselle ubicato in Lorena.
  2. Inizialmente insegna dell’abbazia di st.Denis, l’Oriflamme fu il mitico nome del sacro stendardo di guerra usato dai Re francesi dal XII al XV secolo. Era di colore rosso vivo, con gli esterni verdi e stelle o fiamme d’oro al centro. Perduto nella battaglia di Agincourt, non fu mai più ritrovato.

Bibliografia: