Le Grandi Battaglie

La Battaglia di Bouvines

di Ornella Mariani
Il re Filippo II di Francia a Bouvines, di Horace Vernet
Il re Filippo II di Francia a Bouvines, di Horace Vernet

L'istituzione della Tregua di Dio, o Trewa Dei, o Treuga Dei, fu introdotta dalla Chiesa per limitare l'uso della forza privata e contenere l'esercizio di faide, vendette e guerre personali.

Il provvedimento, inizialmente limitato ai giorni dal venerdì alla domenica ed a quelli consacrati alla Passione, alla Morte ed alla Resurrezione di Cristo, fu sottoscritto nel 1041 tra i Vescovi di Provenza ed il Corpo episcopale italiano; codificato dal Concilio di Arles del 1037; confermato dal Concilio di Clermont del 1095 ed ancora dal III Concilio Lateranense del 1179: ogni violazione fu punita con la scomunica e, quando essa riguardò le Monarchie, ne conseguirono implicazioni politiche causate dallo scioglimento dei sudditi dal vincolo di fedeltà.

Nondimeno, nel Giorno del Signore del 27 luglio del 1214, un Imperatore ed un Re scomunicati sfidarono la prescrizione e si batterono contro un Sovrano cristiano cui la Provvidenza dispensò la vittoria.

Antefatti

Protagonisti del groviglio di eventi che fece da retroterra alla Battaglia di Bouvines furono Innocenzo III, il giovanissimo Federico II di Sicilia, l'inaffidabile Ottone IV alle cui sorti si saldò lo zio Giovanni senza Terre e Filippo Augusto di Francia che col Sovrano inglese trascinava una antica querelle per il possesso dell'Anjou e del Poitou.

Gli Hohenstaufen fra alleanze politiche e nuziali avevano assunto il controllo di un territorio dal cuore dell'Europa alla Sicilia ma, alla morte di Enrico VI, figlio di Federico I il Barbarossa, l'Imperatrice Costanza d'Altavilla aveva rinunciato per il figlio alla eredità imperiale ed aveva assunto la reggenza del Regno di Sicilia designando il Papa tutore dell'erede minorenne.

Nel 1208 il Clero e le Baronie avevano giurato fedeltà al giovane Sovrano mentre, in esito all' assassinio di Filippo di Svevia, la tiara dell'Impero era stata assegnata ad Ottone di Brunswick con l'appoggio della Chiesa.

Ma presto costui, puntando ad impadronirsi anche dell'Italia meridionale e di defraudate lo Staufen, aveva tradito gli accordi.

La singolare circostanza che un Guelfo avesse giocato il Papa, chiamò in causa il Re francese: contro l'usurpatore, egli intervenne in difesa degli interessi degli Hohenstaufen.

Di fatto, più che a consolidare un asse franco/staufico, Filippo Augusto mirava a scongiurare una coalizione anglo/tedesca in funzione antifrancese.

Riuscì, comunque, con abile talento diplomatico, a sciogliere le resistenze e la diffidenza del Pontefice nel quale vivo era il timore dell'unione delle corone siciliane ed imperiale e dei gravi e conseguenti pregiudizi alla sicurezza della Chiesa: l'improbabile sostegno alla causa di un Ghibellino, peraltro membro di una temuta ed invisa dinastia, fu subordinato all'impegno di Federico II a tenere separate e distinte le due realtà politiche.

Ottone IV fu scomunicato il 18 novembre del 1210.

I Grandi Feudatari tedeschi, liberi dal vincolo di fedeltà, lo deposero e designarono al trono dell'Impero il quindicenne Re di Sicilia, già sposo in nozze politiche con la trentenne Costanza, sorella di Pedro II d'Aragona e vedova di Emerico d'Ungheria.

Tuttavia, deciso a giocare fino in fondo la partita, Ottone si accinse a dar battaglia, avvalendosi della solida alleanza dello zio Giovanni senza Terre, a sua volta intenzionato a liquidare le pretese territoriali del Sovrano francese.

Attriti, odi, rivalità trascinati per secoli in quel 27 luglio del 1214 raggiunsero il loro acme coinvolgendo tutti i protagonisti della politica europea: Impero, Papato, Regno di Francia e Regno d'Inghilterra e Regno di Sicilia.

I piani della campagna militare furono elaborati da Giovanni senza Terre: egli puntava ad attirare verso Sud il Re di Francia, per allontanarlo dalla base logistica alloggiata a Parigi e sulla quale già era in marcia il grosso dell'esercito di Ottone IV e dei Conti dei Paesi Bassi.

Contro ogni previsione, il 2 luglio il Sovrano inglese subì uno pesante smacco nella Battaglia di La Roche-aux-Moines.

Tre settimane più tardi il nipote Ottone si acquartierò a Valenciennes, mentre Filippo Augusto si disponeva su un terreno di scontro favorevole alla sua ben nota Cavalleria: tutto era pronto per quella guerra che, combattuta nella torrida estate del 1214, registrò la vittoria del fronte franco/ecclesiale/staufico.

Avviatosi verso le Fiandre alla testa delle avanguardie pronte a congiungersi all'esercito inglese in sosta a La Rochelle in attesa dello sbarco dei rinforzi inglesi, il pugnace ed irriducibile Imperatore deposto, infatti, con Gerardo di Rauderose; Corrado e Dormondo di Westfalia; Otto von Thecklenborg; Bernardo d'Horstmar; il Duca di Brabante; il Conte di Boulogne e il Conte di Fiandra, cadde nelle maglie della trappola tesa dai trentamila uomini riuniti sotto il simbolo dei gigli francesi. Costoro annientarono i Guelfi nell'area fra Lille e Tournay e, senza neppure aspettare l'arrivo dei pur sollecitati rincalzi alleati, in meno di due ore inflissero una pesante rotta alle milizie anglo-tedesche.

Fu quanto bastò perché il Papa gridasse al miracolo: la Provvidenza aveva assistito i giusti.

La battaglia si era combattuta per il futuro assetto dell'Europa.

La Battaglia

Tre settimane dopo l'umiliante sconfitta subìta da Giovanni senza Terre a La Roche-aux-Moines, Ottone concentrò finalmente le truppe a Valenciennes: Filippo Augusto aveva già ricompattato le proprie forze; aveva già deciso di dirigere lo scontro e si era già organizzato in modo da giocare la partita su un terreno favorevole alla sua leggendaria Cavalleria.

Il 27 luglio, pertanto, si presentò nella enorme pianura allungata ad Est di Bouvines e del fiume Marque; protesse i fianchi con robusti contingenti di Cavalieri; istruì les Milices des Communes ammassando al centro la Fanteria su tre fronti di due file ciascuno; alloggiò nelle retrovie le forze di riserva sventolanti l'Oriflamme di saint-Denis.

Alle spalle aveva il ponte di Bouvines ed il territorio imperiale; di fronte, gli agguerriti eserciti di Ottone IV di Brunswick, schierati in direzione Sud/Ovest con la Cavalleria pesante a protezione delle ali; i Fanti raccolti al centro e i corpi scelti in retroguardia, pronti ad azioni di rincalzo.

L'afa irrespirabile enfatizzava la tensione.

Ventimila contendenti pronti allo scontro mortale, attesero il suono dei corni di guerra stando all'ombra dei gonfaloni e degli stemmi: i gigli di Filippo Augusto e l'Aquila dello scomunicato Sassone.

Tremila Cavalieri e circa settemila Fanti tedeschi si posero in assetto, contro un paio di migliaia di Cavalieri e cinquemila Fanti francesi.

Il primo affondo si risolse in una furiosa mischia delle opposte Cavallerie sul lato destro franco; ma il combattimento più serrato presto coinvolse i due centri: la Fanteria dei Paesi Bassi respinse i Francesi e costrinse Filippo ad impegnare la riserva, rischiandola vita nel difendersi dall'ardore fiammingo. Alloggiati sull'ala sinistra, i suoi Feudatari riuscirono a respingere gli Imperiali e a disarcionare il Conte di Salisbury William Longsword, preso prigioniero dal Vescovo di Beauvais proprio mentre sul fianco opposto veniva catturato anche l'irriducibile Conte Ferrante di Fiandra.

L'entusiasmo serpeggiò fra le fila francesi ma il loro lato destro scricchiolò, soverchiato anche numericamente dagli Armati di Ottone.

Fu allora che la furiosa carica a lancia bassa della Cavalleria di Filippo Augusto reagì e in tre ore di sanguinosa mischia decise l'esito della battaglia: mentre, strenuamente battendosi a supporto degli alleati, Reginaldo di Boulogne componeva un micidiale cerchio di settecento Picchieri del Brabante e mentre il Brunswick dirigeva le residue risorse al centro delle linee avversarie mirando direttamente a Filippo Augusto, la Fanteria capetingia avanzò con una pesante controffensiva. L'Imperatore fu disarcionato e salvato dal tempestivo intervento di un gruppo di Sassoni: le ali francesi ne profittarono per serrarsi in un'ultima manovra aggressiva che tagliò la ritirata agli avversari e ne provocò la rotta definitiva: la fuga del Brunswick dal campo di battaglia, disorientando i suoi stessi schieramenti, segnò il trionfo franco/tedesco enfatizzato dalla conquista dell'aquila d'oro degli stendardi imperiali inviati a Federico II: il nuovo Imperatore.

Il destino dell'Europa era compiuto.

Conseguenze

Il successo militare della grandiosa impresa: primo conflitto internazionale combattuto da eserciti nazionali; imponente per lo straordinario numero dei partecipanti e delle armi impegnati alla costruzione del futuro del continente, fu un evento epocale: la strepitosa vittoria di Bouvines, coincidente in Oriente con la presa mongola di Pechino, decretando il tramonto dell'astro guelfo e rafforzando l'alleanza politico militare franco/tedesca, consentì a Federico II di essere incoronato dall'Arcivescovo Sigfrido il 25 luglio del 1215 in Aquisgrana: la consegna della Corona d'argento, dello scettro e della spada, su quel trono che era già stato di Carlo Magno, sancirono definitiva quella dignità imperiale recuperata grazie al leale e prezioso intervento francese. Il trionfo delle forze laiche, archiviando un'antica controversia fra le due grandi potenze occidentali: Francia ed Inghilterra, e riconoscendo allo Svevo la legittimità di capo dell'Impero, aveva delineato il futuro di quattro realtà politiche.

L'Inghilterra sconfitta subiva come contraccolpo interno l'attuazione dei principi della Magna Charta, ovvero la carta delle libertà e dei diritti a conferma della enorme debolezza istituzionale: Re Giovanni era stato umiliato e costretto a sottoscrivere quel Diploma di privilegio preteso dai Baroni, sedando la rivolta dei Feudatari e degli Ecclesiastici contro gli abusi esplosi dopo la perdita della Normandia. Il documento concludeva l'annoso contrasto sorto fra la Monarchia di Guglielmo il Conquistatore e l'oligarchia baronale soffocata dalla tirannide instaurata dai Plantageneti. Le trattative si conclusero a Rennymedes, presso Windsor, il 12 novembre del 1216. Nel testo, redatto in 63 capitoli, si affermava il principio dell'habeas corpus, col quale veniva inibito al Sovrano ogni arbitrario e surrettizio arresto o condanna, se non previo regolare processo; si riconoscevano alla Chiesa inglese i privilegi tradizionali; si consentiva a borghi e città il mantenimento delle consuetudini; si proibiva alla Corona l'imposizione di tributi privi della approvazione del Consiglio del Regno; si concedeva una carta di franchigia ai Londinesi.

La Francia, che aveva affermato la propria sovranità e disegnato i propri confini, riusciva nell'ambizione a lungo perseguita di definire un progetto di unità nazionale ed otteneva il completo controllo dei territori di Angiò, Bretagna, Maine, Normandia e Turenna strappandoli agli Inglesi.

La Germania poteva avviarsi verso un clima di stabilità politica, identificando in quel fulvo rappresentante dei mitici Hohenstaufen un'occasione di rinnovato orgoglio nazionale.

Il Papa, dal canto suo, raggiungeva il proprio zenit sempre più persuaso di avere assunto, con la Bolla di Eger, la pienezza del potere nell'intera Chiesa tedesca ed in Europa: tale da sentirsi nel diritto di sferrare una dura offensiva contro Valdesi e Catari.

Bibliografia: