Le Grandi Battaglie

La Battaglia di Campaldino e le sue conseguenze

di Ornella Mariani
La Battaglia di Campaldino
La Battaglia di Campaldino

Il 1216 era stato un anno cruciale per Firenze, da tempo lacerata dalle discordie interne. L'anno precedente, Federico II di Svevia aveva cinto la corona di Re di Germania parallelamente all' assassinio di Buondelmonte Buondelmonti da parte di un Amidei: l'evento aveva fortemente esasperato le tensioni cittadine. In seguito, e più propriamente nel terzo decennio del ‘200, il graduale intensificarsi dello scontro Papato/Impero aveva finito col radicalizzare le lotte fra Guelfi e Ghibellini e nel 1250, infine, archiviando la lunga stagione di egemonia laica, la morte dello Staufen aveva avviato il Ghibellinismo toscano alla decadenza favorendo il formarsi del governo del Primo Popolo, sensibile alla pacificazione interna e alla espansione economica.

Ricalcando le orme paterne, Manfredi di Sicilia aveva poi tentato di rilanciare quella tradizione politica ma, nel 1260, la rotta di Montaperti se da una parte causò la caduta del Governo popolare, dall'altra ne produsse la definitiva fusione col Guelfismo.

Il 26 febbraio del 1266, comunque, la battaglia di Benevento eliminò tutte le speranze filo/imperiali: la soluzione di compromesso tentata con i Frati gaudenti sfumò nell'aprile del 1267 quando il ritorno in città dei fuoriusciti appoggiati dagli Angioini spazzò definitivamente dalla scena i Ghibellini e condusse alla formazione di un'amministrazione attiva fino alla pace del Cardinale Latino Frangipane; all'assunzione del potere, nel 1282, da parte delle forze popolari cittadine con il Priorato delle Arti; alla esclusione del gruppo nobiliare magnatizio dai circuiti del potere; alla spaccatura fra Guelfi medesimi in Bianchi e Neri, stante la diversità degli interessi economici e degli ideali politici.

Gli uni, furono rappresentati da Vieri Cerchi, incline alle masse, all'autonomia dal Papato e al mantenimento delle libertà e della struttura repubblicana; gli altri, da Corso Donati, ostile agli Ordinamenti giudiziari di Giano della Bella e favorevole alla politica filoecclesiale.

Maturò in quel clima la battaglia di Campaldino, nella quale Guelfi di Firenze e Ghibellini di Arezzo si combatterono l'11 giugno del 1289.

Le insegne di guerra erano state consegnate il 13 maggio e, con l'intenzione di marciare su Arezzo, i Fiorentini prepararono un campo presso Badia a Ripoli e, sotto la guida di Guillaume de Durfort, Aimeric de Narbonne, Vieri de' Cerchi, Bindo degli Adimari e Barone dei Mangiatori, la mattina del 2 giugno guadarono l'Arno fra Rovezzano e Varlungo; passarono per Pontassieve e scalarono la Consuma.

Avuta notizia dei loro movimenti e forti di supporti provenienti da tutta Italia, gli Aretini si posero in marcia verso Bibbiena per difendere i loro presidi: erano capeggiati dal Vescovo locale Guglielmino degli Ubertini, da Guglielmino Raniero dei Pazzi di Valdarno, da Guidarello da Orvieto, dal Conte Guido Novello, da Bonconte e Loccio da Montefeltro, quasi tutti reduci dai vittoriosi combattimenti del 1288 contro Siena.

La scelta di passare dalla Consuma e dal Casentino si rivelò indovinata: colte di sorpresa, le piazzeforti ghibelline non contrastarono il passaggio dei Fiorentini e non restò altra opzione che ingaggiare battaglia in campo aperto.

Il Primate di Arezzo, pertanto, inviò il guanto di sfida ai Capitani della opposta fazione.

Il luogo deputato allo scontro fu la Piana di Campaldino, ubicata fra Poppi e Pratovecchio, sul lato sinistro dell'Arno, nei pressi di una chiesiola detta Certomondo.

Alle prime luci di sabato 11 giugno, le armi si incrociarono.

Nella prima fase, Vieri de' Cerchi individuò le avanguardie in grado di contenere il primo e più violento affondo: Guido Novello e Corso Donati si erano infatti posti a capo della Cavalleria di riserva per colpire il centro del suo schieramento ed avevano impegnato dodici Paladini che spianassero la via ai Feditori, ovvero i Cavalieri di prima linea: fra essi, Dante Alighieri.

I primi trecento di essi spronarono i loro cavalli al galoppo, con in testa Bonconte da Montefeltro alle cui spalle, al trotto, seguivano trecentocinquanta elementi di rincalzo.

I reparti avanzati di Vieri de' Cerchi serrarono le file, ma furono quasi tutti disarcionati e costretti a battersi a piedi, a colpi d'ascia, di spada e di mazza mentre il nemico s'incuneava fra di loro trasformando la battaglia in una violenta e sanguinosa zuffa.

Entrarono,così, in azione i Balestrieri.

Ben protetti dalle mura mobili dei palvesi, i Guelfi tiravano da distanza ravvicinata mentre con minore efficacia i Ghibellini, disturbati dall'intensa polvere, erano costretti a tiri lenti.

Se la Cavalleria era arretrata, le ali di Fanteria dei primi ressero l'attacco e presero a stringersi a tenaglia circondando gli uomini dei secondi, già bersagliati da una pioggia di frecce che intensificava il tiro di quadrelli e verrettoni.

Al rinforzo delle retrovie, Guillaume de Durfort, Aimeric de Narbonne e Gherardo Vetraia dei Tornaquinci opposero una controcarica diretta al centro della formazione avversaria: quando i primi due caddero, i Ghibellini si avventarono sul Tornaquinci per strappargli le insegne.

Ma le sorti della battaglia si tennero alterne e confuse finchè le riserve ne segnarono l'esito.

Corso Donati, infatti, diresse un gruppo di feditori freschi verso il fianco destro nemico, scompigliandone e separandone Cavalleria e Fanteria mentre, a fronte dell' accerchiamento subìto dai suoi uomini e prèsago dell'epilogo, Guido Novello arretrava verso i propri castelli: Guglielmino degli Ubertini fu abbattuto assieme a Bonconte da Montefeltro e Guglielmo Pazzo.

Dopo sanguinosi corpo a corpo, verso l'imbrunire, un violento temporale arrestò quella terribile mattanza: l'esito della mischia fu reso evidente dall'apertura della caccia agli ostaggi avviata quando, suonato il segnale di ritirata, si cominciò da ambo le parti a raccogliere i caduti: mille e settecento Ghibellini, contro trecento Guelfi.

A Firenze, il risultato del conflitto sembrò avviare un' epoca di pace; ma le contrapposizioni, prima personali e poi familiari e politiche, contagiarono ogni quartiere ponendosi premessa alla divisione fra Guelfi Bianchi e Neri.

Le due fazioni sorsero su litigi causati da ragioni di vicinato e ne fu protagonista Corso Donati detto il Barone, nato verso la metà del XIII secolo e morto il 6 ottobre del 1308; fratello di Forese e Piccarda; personaggio politico di spicco del Medio Evo toscano, quale capo della corrente dei Donateschi, successivamente detti Guelfi neri; Podestà e Capitano del Popolo in molti centri anche romagnoli; oggetto di un fallito attentato posto in essere da Guido Cavalcanti nel 1296.

Scoperta la Congiura di santa Trinita, Corso fu condannato a morte in contumacia; tuttavia, con l'entrata in città di Carlo di Valois, riprese il comando del partito e firmò numerose condanne all' esilio in danno di esponenti della parte avversa.

La sua doppiezza suscitò i sospetti di amici e nemici ed il 6 ottobre del 1308, bollato come ribelle e traditore, fu costretto alla fuga da un'insurrezione popolare.

Stando alla testimonianza di Giovanni Villani, cadde da cavallo ma un piede gli restò impigliato in una staffa e gli assalitori lo finirono brutalmente presso san Salvi.

Dante lo odiò per la sua arrogante prepotenza e lo citò indirettamente nel XXIV del Purgatorio (79-81) attraverso una profezia fatta pronunciare al fratello Forese: ...La bestia che a ogne passo va più ratto,crescendo sempre, finch'ella il percuote e lascia il corpo vilmente disfatto...

Bianchi e Neri

A Pistoia ...Queste due parti, Neri e Bianchi, naquono d'una famiglia che si chiamava Cancellieri, che si divise: per che alcuni congiunti si chiamarono Bianchi, gli altri Neri; e così fu divisa tutta la città ...( D. Compagni: Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi).

Le cronache di Giovanni Villani e dello stesso Dino Compagni assumono che proprio in questa città si consumò la scissione guelfa, a causa della lite tra i figli di primo e secondo letto di un Cancellieri, noti come Bianchi e Neri per il colore dei capelli.

Essi si spartirono le cariche di governo locale, sancendo l'incolmabile distanza fra le parti.

La situazione era ben nota ai Fiorentini che, avvantaggiati dalla debolezza istituzionale locale e dal governo di un loro Podestà, incassavano lauti cespiti attraverso Magistrati disinvolti: le multe per le frequenti discordie, in definitiva, più che a tutela dell'ordine pubblico erano irrogate allo scopo precipuo di riscuoterne le congrue percentuali.

Nella contrapposizione, a capo dei Neri si pose Simone da Pantano; i Bianchi furono, invece, guidati da Schiatta Amati: entrambi provenienti dalla citata famiglia Cancellieri.

Protagonisti di violenti disordini tra il 1294 ed il 1296, essi furono esiliati a Firenze dove gli uni goderono dell'appoggio dei Donati e gli altri del sostegno dei Cerchi.

In seguito la frattura tra costoro, difensori della Chiesa ma ostili al ritorno dell'Imperatore, e gli altri, assertori della gestione politica del Papa quale Misso Domenici, si inasprì fino a concludersi con la vittoria dei Neri ed il conseguente esilio dei Bianchi.

L'inizio della concreta lotta armata scaturì da una rissa tra giovani esponenti delle due consorterie il 1° giorno di Calendimaggio del 1300: durante i tafferugli, Ricoverino de' Cerchi ebbe il naso asportato dal donatesco Piero Spini.

Il fatto di sangue fu la distruzione della nostra città, perché crebbe molto odio tra i cittadini (D.Compagni: Cronica).

In definitiva: quella che era sorta come una ordinaria rivalità di quartiere, degenerò in un cruento antagonismo determinando la formale istituzione dei partiti e lo schieramento delle principali casate: con i Cerchi, parte degli Adimari; Amuniti; Angiolieri; Cavalcanti; Falconieri; Mozzi; Scali; Frescobaldi; Gherardini; Orlandini; Ruffoli; Salterelli; Simonetti; Castracani; Quartigiani. Con i Donati, l'altra parte degli Adimari; Bardi; Bordoni; Cerretani; Dalla Tosa; Gianfigliazzi; Pazzi; Rinaldi; Rossi; Tornaquinci; Spini.

Gli eventi poi si erano aggravati con l'acquisto di alcune case da parte dei Cerchi - mercanti arricchiti che Dante definì la parte selvaggia - accanto a quelle degli arroganti Donati: Vieri e Corso animarono la vita del cosiddetto Vicolo dello Scandalo con risse sistematiche e reciproche minacce di demolizione dei muri interni e di assalto notturno degli edifici.

Fra la fine del ‘200 e l'inizio del ‘300 la rivalità era stata intensificata da una triade di eventi che, come testimoniò Isidoro del Lungo, a poco a poco tutti trascinò seco, anche i religiosi, anche le donne: nel 1296, il Donati aveva sposato Tessa Ubertini imparentata con i Cerchi e, in sprezzo del diverso pronunciamento della Magistratura, aveva negato ai parenti della sposa il diritto ad una eredità; successivamente, quando nessuna delle parti aveva accettato di pagare la multa irrogata per una zuffa tra giovani membri delle famiglie e tutti erano stati trattenuti nel Palazzo del Podestà, ai Cerchi erano stati propinati migliacci avvelenati che avevano causato la morte di chi ne aveva mangiato; in occasione della cerimonia funebre per la sepoltura di una donna in oltrArno, infine, in Piazza de' Frescobaldi, nei pressi del Ponte di santa Trinita, nel gennaio del 1297, ... essendo a sedere, i Donati e i Cerchi, in terra... l'una parte al dirimpetto all'altra, uno o per racconciarsi i panni o per altra cagione, si levò ritto. Gli adversari, per sospetto, anche si levorono, e missono mano alle spade; gli altri feciono il simile: e vennono alla zuffa...

Lo scontro, che aveva favorito la successiva fondazione di un contro-schieramento cui avevano aderito Lapo Salterelli e Donato Ristori assieme a molti Popolani, era stato sventato dall' intervento di estranei; tuttavia, a sera, un gran numero di persone si era presentato sotto le mura delle case dei Cerchi con l'intenzione di organizzare una spedizione punitiva contro il presunto affronto.

Vieri aveva escluso categoricamente il ricorso alle armi; ma la sua indole pacifica, definita viltà da Dante, gli impedì di attuare quel colpo di mano che gli avrebbe assicurato una vittoria certa e garantita anche dalla stragrande maggioranza di simpatizzanti e alleati. Piuttosto, i Cerchi vantavano come sfida contro Firenze l'alleanza di Pisa e Arezzo.

Nel frattempo il Consiglio dei Cento, di cui facevano parte anche Dino Compagni e Dante Alighieri col ruolo di Priori, aveva deciso di confinare i referenti di entrambe le fazioni.

Era stato, così, disposto l'esilio per tutti: i Donateschi Corso ed il fratello Sinibaldo, Rosso e Rossellino della Tosa, Pazzino e Gioacchinotto de' Pazzi, Geri Spini e Porco Ranieri erano stati confinati a Castel della Pieve, sotto Urbino; i rivali: Gentile, Torrigiano e Carbone de' Cerchi, Guido Cavalcanti, Baschieri della Tosa, Baldinaccio Adimari e Naldo Gherardini erano stati invece relegati a Sarzana. Ma, quando costoro si furono allontanati, i Donati si rifiutarono di lasciare la città.

Nel giugno del 1300, Bonifacio VIII mandò come mediatore di pace il Cardinale Matteo d'Acquasparta, a capo di truppe lucchesi. La vivace reazione popolare e l'intervento della Diplomazia indussero costui a varcare le mura disarmato e senza esercito e, quando fu chiaro che la sua attività era comunque rivolta a favore di quella ribelle famiglia contro ogni pur asserita neutralità, si sollevò un'ondata di sdegno tale da costringerlo alla fuga a Lucca.

I Donateschi s'inserirono nel più globale progetto politico di espansione verso la Toscana già posto in essere dalla Curia Romana e dal Papa che, in coincidenza del Priorato di Dante Alighieri, non perse occasione per inserirsi nelle faide locali sollecitando, dopo la fallita missione del suo Legato, il diretto intervento di Carlo di Valois.

Nella forma, costui fu investito del ruolo di Paciaro; nella sostanza fu un sostenitore dei Donati: entrò in Firenze il 1° novembre del 1301 e vi insediò la Signoria dei Neri ; promulgò durissime leggi; pretese tributi a sostegno dell'esercito; manifestò indifferenza alle soverchierie dei Donati e, mentre Bonifacio VIII tratteneva Dante a Roma, occupò la città col pretesto di aver scoperto un documento comprovante una congiura dei Cerchi in suo danno.

Fu così in quel periodo che, giunti a Firenze anche gli esiliati di parte nera pistoiese, le due fazioni dei Bianchi e dei Neri si radicarono sul territorio.

La linea politica di costoro assunse subito stampo élitario e filopapale, mentre gli antagonisti, nelle cui file militavano l'Alighieri e Petracco Petrarca, padre di Francesco, avevano tendenze più inclini al Popolo e una visione politica più equidistante tra il Papato ed Impero.

Quando i Donati furono accusati di aver tramato assieme a Simone de' Bardi, marito di Beatrice Portinari, per eliminare i Cerchi in un consiglio segreto tenutosi in santa Trinita nel giugno del 1301, furono poste in essere drammatiche sanzioni. L'evento: una effimera vittoria bianca, fu citato da Dante nella profezia di Ciacco: ...Dopo lunga tencione / verranno al sangue, e la parte selvaggia / caccerà l'altra con molta offensione... (Inferno VI, 64-66)

Banditi tutti gli esponenti della consorteria rivale, il 27 gennaio del 1302 il Podestà Cante de' Gabrielli da Gubbio condannò Dante al pagamento di cinquemila fiorini e a due anni di esilio per aver contrastato i propositi papali; il 10 marzo, poi, a fronte dello sprezzo manifestato alla sanzione, lo condannò a morte in contumacia irrogandogli la pena del rogo; ma l'Accusato era già riparato presso i Conti Guidi in Casentino.

I Neri assunsero così il controllo di tutti gli uffici governativi con l'avallo della Chiesa e del Sovrano francese. I contrasti si riattizzarono quando Rosso della Tosa e Corso Donati, pur appartenendo alla medesima fazione, si avversarono per il governo locale dando vita ad ulteriori due gruppi: i tosinghi e i donateschi in lotta senza esclusione di colpi, fino al definitivo bando dei Donati ed all'assassinio di Corso.

Bibliografia: