Personaggi

Narsete

di Ornella Mariani
Impero romano d'oriente
Impero romano d'oriente

Eunuco di origine armena, nato verso il 478 e morto nel 574, fu il Generale bizantino che portò a termine nel 553 la conquista dell'Italia avviata dal predecessore Belisario; batté i Re goti Totila e Teia e poi i Franchi; governò per conto dell’Imperatore, finché le proteste dei Romani indussero Giustino II a rimuoverlo e a sostituirlo con Longino.

Era cresciuto a Corte ed era stato istruito come servitore al palazzo imperiale.
Sotto Giustiniano I aveva goduto di notevole prestigio quale Favorito di Teodora ed aveva raggiunto la vetta gerarchica assumendo l’incarico di Sacellarius e poi di Comes sacri cubiculi.
Con spiccato talento diplomatico guadagnò alla Corona i soldati persiani, persuadendoli alla diserzione, e nel 530 convinse gli Ufficiali Narsete ed Arazio a passare dalla parte bizantina.

Nel 531 diventò Spatharius ed in quella veste fu protagonista, l’11 gennaio del 532, della Rivolta di Nika1 nella quale le due fazioni dell'Ippodromo: i Verdi e gli Azzurri, provarono a rovesciare l’Imperatore e ad insediare al trono Ipazio, nipote del Basileus Anastasio I.
Si trattò di una sanguinosa sommossa che, esplosa al grido di Nik?, Nik? (n.d.a.: Vinci, Vinci!) con cui il Popolo incitava i propri i campioni nelle corse ai carri, Giustiniano sedò brutalmente dopo avere accolto l’incoraggiamento della moglie a non fuggire e ad affidare a Narsete il compito di dividere le due consorterie, mentre Belisario e Mundo sedavano i torbidi con la violenza delle armi.

Il 18 gennaio successivo Narsete corruppe con successo la consorteria azzurra, convincendola a schierarsi con l'Imperatore, che l’avrebbe protetta, ed ingenerando in essa la propensione dell’ usurpatore per la fazione verde: da quel momento il suo astro fu in forte ascesa.
Nel 535 fu incaricato dall’Imperatrice Teodora di recarsi in Alessandria d’Egitto e di reinsediarvi a capo della cristianità locale il Vescovo monofisita Teodosio, esiliandone il rivale ortodosso Gaiano.
In poco più di tre mesi, il Generale concluse con successo la missione, tuttavia i tumulti durarono ben oltre un anno, trasformandosi in guerra civile tanto sanguinosa da indurre il nuovo Patriarca ad abbandonare la sede ed a trasferirsi in Costantinopoli. Essendosi, in seguito, rifiutato di accettare la confessione di Calcedonia, Teodosio fu destituito dal soglio patriarcale ed esiliato nella tracia Derkos. Al suo posto si insediò Paolo: per la prima volta, in dieci lustri, il Patriarca alessandrino non era monofisita. In conseguenza di quell’atto, si determinò la separazione definitiva delle due linee patriarcali copta ed ortodossa.
Era stato storicizzato lo scisma.

Nel 538 sessantenne, avuto il comando dei rinforzi inviati in Italia: duemila Mercenari eruli e cinquemila Bizantini, Narsete entrò in conflitto con lo Strategos Autokrator Belisario, cui l’ Imperatore aveva affidato il comando della campagna militare. L’uno intendeva salvare l’amico Giovanni di Vitaliano, assediato dai Goti a Rimini; l’altro pretendeva di attaccare Osimo.
Alla fine, l'esercito bizantino marciò su questa città liberandola e costringendo Vitige ad arretrare a Ravenna. Dopo questa fortunosa iniziativa, Belisario decise di sciogliere anche la morsa barbara che attanagliava Milano ma, al fine di meglio sorvegliarla, egli immaginò più proficua la sottomissione dell'Emilia. Così, malgrado la aperta contrapposizione, marciò su quella regione mentre il rivale assaliva Urbino.
L’animosità fra i due Ufficiali, allora, degenerò in una autentica spaccatura del fronte militare a danno della conquista dell'Italia e favorì la distruzione di Milano da parte dei Goti, sicchè Giustiniano, decise di richiamare Narsete a Costantinopoli e di conferire ancora a Belisario il comando unico dell'esercito, malgrado gli Eruli abbandonassero il campo per fedeltà all’Ufficiale rimosso.

Nel 541 Narsete fu incaricato di verificare i termini di un complotto che coinvolgeva il Prefetto del Pretorio d’Oriente Giovanni di Cappadocia. Costui, di fatto vittima di un tranello ordito da Teodora e da Antonina, moglie di Belisario, era stato convinto ad aderire ad un complotto contro Giustiniano che inviò il Generale a spiare l'incontro fra le parti, con l’incarico di arrestare il cospiratore, se davvero fosse risultato colpevole: quando dalla manipolata conversazione si dedusse l’essere davvero in atto di una congiura, il presunto colpevole fu bloccato; costretto ad indossare la tonaca; spogliato dei beni ed esiliato in Egitto.
Nel 545 Narsete persuase ancora i Capi eruli a spostare le loro truppe in Italia e nel 551, quando Belisario richiamato a Costantinopoli era stato sostituito da Germano, morto a Serdica ancor prima di raggiungere l’Italia, fu nominato Generalissimo e dotato di uomini e denaro necessari alla nuova campagna d’Italia.
Egli lasciò Salona nell’aprile del 552 per raggiungere Ravenna; tuttavia, l’opposizione dei Franchi, a presidio di alcune piazzeforti venete, e la vigilanza gotica sulla via per la capitale, lo costrinsero ad una lunga marcia lungo le paludi mentre la Flotta procedeva via mare ed era seguita da Giovanni.
Il 9 giugno proprio in Ravenna, Narsete incontrò i Generali Giustino e Valeriano.

Nove giorni più tardi lasciò la città e, dopo aver ricevuto una lettera del goto Usdrila, posto da Totila a difesa di Rimini, vi si recò senza occuparla, perseguendo l’ambizione di annientare definitivamente il Sovrano rivale.
A Busta Gallorum, a tredici miglia dal quartier generale di costui, gli inviò Legati per fissare la data dello scontro, iniziato con la carica dei Lancieri ostrogoti. Costoro tentarono lo sfondamento delle linee nemiche, ma furono condizionati e scempiati dagli Arcieri bizantini disposti a semicerchio.
La ritirata gotica travolse la propria stessa Fanteria: il Comandante supremo tentò la fuga, ma fu ucciso da un Ufficiale bizantino.
Totila moriva così, in campo.

La notizia raggiunse Costantinopoli nell'agosto successivo.
Narsete congedò i Mercenari longobardi e incaricò Valeriano di sorvegliare il Po e le attività del nuovo Re Teia; poi riconquistò Roma, le cui chiavi inviò all’Imperatore e, appreso che il nemico si accingeva a marciare su Cuma per liberarla dall'assedio bizantino, lo intercettò sul fiume Dracone.
Gli Ostrogoti arretrarono sui Monti Lattari, ove nell’ottobre i Bizantini prevalsero ancora: anche Teia cadde in battaglia e l’esercito, demotivato e privo di guida, abbandonò la penisola senza opporre ulteriore resistenza.
L’assedio di Cuma riprese parallelamente alla marcia contro le città dell’Etruria, ancora in mano barbara. Giunse allora notizia al Generale che i Franchi e gli Alemanni, condotti da Butilino e Lautari, avevano invaso l’Italia settentrionale.

Dislocata parte delle truppe verso il Po, per fermarne l’avanzata, egli si diresse in Etruria ove, tranne Lucca, tutti i centri si arresero. La città fu posta sotto assedio nel settembre del 553. Nel perdurare dell’operazione bellica, Narsete apprese che le legioni incaricate di fermare i Franco-alamanni si erano ritirate da Parma e spostate a Faventia; vi inviò il suo Luogotenente Stefano; si dette all’ attesa del crollo di Lucca, resa tre mesi più tardi; nella primavera successiva si trasferì a Ravenna, ove fu informato della caduta anche di Cuma e del recupero del tesoro goto custoditovi.
Aprì, allora, attraverso il barbaro Aligerno trattative con i Franco/alemanni contando che costoro, sfumata la possibilità di impadronirsene, arretrassero. Ma fallito il tentativo, Narsete si diresse a Ariminium e si alleò con Teodobaldo, Comandante dei Varni: messe in fuga le truppe straniere, nella primavera del 554, tornò a Roma e vi restò fino all’estate del 554.

Nel frattempo i Franco/alemanni, macchiandosi di eccidi e saccheggi, si erano divisi in due gruppi: uno, con Leutari, aveva raggiunto Otranto e poi era tornato al Nord ov’era stato sconfitto dagli Imperiali a Pesaro; l'altro, con Butilino, si era portato sullo stretto di Messina ma era poi risalito in Campania per affrontare i Bizantini: acquartieratosi a Capua, nell'autunno del 554, affrontò Narsete sul Volturno, ma fu travolto ed ucciso.
Il Generale bizantino aveva scongiurato la minaccia barbara, restandogli ora solo da conquistare Conza, ultima piazzaforte dei Goti a Sud del Po.
Condotti dall’unno Ragnari, costoro tentarono una strenua resistenza e provarono ad assassinare Narsete durante i negoziati ma, alla fine, nel 555 si arresero e furono deportati a Costantinopoli.

Giustiniano affidò al valido Ufficiale il governo dell’Italia cui impose la Prammatica Sanzione.
Il 16 aprile del 556 fu eletto al soglio pontificio Pelagio che indirizzò a Narsete due epistole, in una delle quali: quella del marzo/aprile del 559, lo invitò a rigorose sanzioni contro gli Scismatici di Liguria, Venezia e Istria, per la manifesta ostilità alla condanna dei Tre Capitoli emessa dall’ Imperatore.
Nel 559, già Console onorario, Generalissimo d’Italia e Patrizio, Narsete tentò di pacificare il Nord ancora parzialmente occupato da Goti e Franchi.
In quello stesso anno, Milano e gran parte delle Venezie erano bizantine e, nel 561, a fronte del rifiuto del Comandante franco Amingo a concedere il consenso a varcare l’Adige, marciò contro i Franchi, alleati al goto Widin, responsabile del presidio di Verona. Li batté espellendoli dall'Italia; ottenendo la resa di Verona e Brescia; istituendo quattro Ducati a difesa delle Alpi; ricostruendo le città distrutte dai Goti; edificando numerose chiese.

La morte di Giustiniano nel 565 condizionò l'ultimo decennio di attività di Narsete, anche per le tenui relazioni con Giustino II.
Nel 566 gli Eruli, stanziatisi al Nord come Mercenari, designarono Re Sinuald: il Generale lo annientò, ma la sua oppressiva politica fu osteggiata dai Romani che, chiesto l’intervento del Basileus, minacciarono di consegnarsi ai Barbari: Narsete fu sostituito con Longino nel 558.
Si vuole che, per vendetta, egli sollecitasse la calata dei Longobardi, anche per le minacce dell' Imperatrice Sofia: a parere di Paolo Diacono, costei avrebbe promesso al Generale di impegnarlo nella distribuzione della lana alle donne del gineceo della capitale.
Egli le avrebbe opposto l’ironico impegno a tessere per lei una tela inestricabile!
L’età, tuttavia, incalzava: trasferitosi a Napoli, ma richiamato a Roma dal Papa, vi si spense all'età di novantacinque anni.

Note:


  1. A quel tempo Costantinopoli era una città cosmopolita e la popolazione era divisa in due consorterie sportive: i Verdi e gli Azzurri che avevano messo in ombra quella dei Rossi, di cui era stato sostenitore Anastasio. Esse non limitavano la propria attività al tifo nell’ippodromo, ma partecipavano attivamente alle dispute religiose assumendouna forte connotazione politica e militarizzandosi. Venivano, pertanto, strumentalizzate politicamente usufruendo di compensi ed incarichi, a partire dall’àmbito degli spettacoli. I Verdi, aristocratici, si erano inclini ai Monofisiti assieme ai sostenitori di due nipoti di Anastasio I, capi dell’opposizione legittimista; gli Azzurri, invece, formavano il partito dei miserabili e parteggiavano per l’Imperatore, che li rendeva immuni da ogni colpa: Giustiniano e Teodora li avevano usati e incoraggiati per conseguire il potere ma, quando si erano insediati, avevano provato a condizionarne la turbolenza. L’Imperatrice veniva, comunque, da questo ambiente ed era figlia del custode degli orsi dell'Ippodromo e di una ballerina che si esibiva anche in spettacoli osceni. Teodora aveva emulato la madre finché si era convertita in Alessandria al Monofisismo, per opera del Patriarca Timoteo, e pertanto restò legata ora agli Azzurri come il marito fino alla rivolta. A causa della politica blanda della Corona le fazioni avevano conseguito una sostanziale impunità e giravano armati, rendendosi responsabili di frequenti atti criminali. L’Imperatore aveva disposto di arginarne le scorrerie, attraverso il Prefetto Eudemone che, dopo una serie di arresti, ne aveva fatto impiccare sette nel sobborgo di Sika il 10 gennaio del 532. Due, però: ciascuno di diversa fazione, si erano miracolosamente salvati per la rottura del patibolo e, riparati in san Lorenzo con la complicità dei Monaci di San Conone, avevano chiesto clemenza. Il disprezzo esibito per la richiesta fu alla base della reazione: le due consorterie, solitamenteantagoniste, si coalizzarono contro il fiscalismo e l'autocrazia giustinianei e per sei giorni scempiarono la città contestando anche i due Funzionari Triboniano e Giovanni di Cappadocia, accusati di lucrare sulla giustizia modificando le leggi e distraendo i fondi delle finanze pubbliche. La sommossa iniziò al circo l'11 gennaio, all'inaugurazione dei giochi: all'entrata della coppia imperiale si levarono urla di contestazione fino al corale urlo Nika, che contagiò tutti i rioni cittadini e che per sei giorni insanguinò la capitale. Giustiniano si barricò nel palazzo; promise la riduzione delle tasse e minacciò di sanzioni i Capi dei due partiti ma, poiché la folla esigeva di insediare Ipazio al suo posto, decise di fuggire ed in segreto fece caricare il tesoro imperiale su una nave pronta a salpare. Al comando della difesa del palazzo reale era Narsete, che attendeva rinforzi: per temporeggiare, distribuì agli Azzurri una parte del tesoro di Giustiniano, facendoli convergere nell’ippodromo ove fu raggiunto da Belisario, reduce dalla guerra persiana: dopo tre giorni di torbidi, insieme fecero grande strage dei rivoltosi ed arrestarono Ipazio ed il cugino Pompeo, che furono giustiziati. Le vittime furono circa trentacinquemila.

Bibliografia: